Quanto dura l’amore? Oggi sappiamo, liberandoci da quelli che sono solo falsi miti, che ogni nostro sentimento, col tempo, muta, evolve, si trasforma, ha le sue fasi di luce e le sue fasi di buio. Dunque, anche l’amore compie questo medesimo percorso, attraversando i suoi naturali e necessari cambiamenti, i quali, a loro volta, conducono ad un rafforzamento del rapporto oppure ad un’inevitabile e definitiva rottura, ma in entrambi i casi rappresentano un’opportunità  di crescita, un momento di confronto nel quale conosciamo meglio noi stessi, quello che abbiamo e quello che desideriamo ottenere.

Ma in un mondo che è sempre più virtuale, più artificiale e più tecnologico, anche l’amore rischia di venire risucchiato da questo rapido flusso di bit e smarrirsi, di conseguenza, per sempre, nei ripetitivi meandri della rete, rimanendo intrappolato in quello che è solo un riflesso di sè stesso; in un’immagine eternamente statica ed immutabile, la quale, privata di ogni momento di condivisione, di naturale rabbia, di reciproca incomprensione, di necessario contraddittorio e di possibile avvicinamento, si riduce ad un perverso rapporto triangolare – io, tu, la rete – un rapporto che, in realtà , nasconde un’esperienza morbosa, puramente individualista e narcisistica, che non potrà  mai divenire un’esperienza di crescita, ma che non farà  altro che aumentare il senso di vuoto e di smarrimento, l’incapacità  ad aprirsi al prossimo e comunicare quelli che sono i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Ed è così che la tecnologia che doveva facilitare l’incontro, in realtà  amplifica a dismisura la distanza.

I 7Mondays lasciano che le loro sonorità , intrise di sognanti riverberi shoegaze, penetrino e si diffondano sul backplane tecnologico sul quale stiamo costruendo le nostre esistenze, scivolando attraverso le svariate piste tracciate sul circuito stampato, le quali potrebbero interrompersi brutalmente, terminare in un vicolo cieco, rivelarsi un sogno ad occhi aperti, arrendersi dinanzi ad un invalicabile muro d’orgoglio o d’incomunicabilità , mentre il rapporto o quello che ne rimane resta imprigionato in un vero e proprio labirinto di rabbia e frustrazione, dal quale, purtroppo, non ci sarà  nessuna via d’uscita.

Le trame di “What’s Best To Die For” prendono vita dal familiare e diabolico trillo di un messaggio Whatsapp, simbolo della nostra vanità  e della nostra impotenza, ma anche ultimo legame col proprio recente passato, con tutto ciò a cui stiamo rinunciando, nel nome di quell’ego che ama crogiolarsi sotto il fasullo e ciarliero sole della rete globale, senza alcun impegno se non verso sè stesso, incurante dell’eco di “Tape Rewind”, dei messaggi che ci siamo scambiati, delle frasi che abbiamo lasciato sfuggire, dei sigilli che abbiamo aperto e che adesso non abbiamo più voglia, energia o tempo di seguire, preferendo che siano le atmosfere ombrose e malinconiche di “Crows” a chiudere questa storia d’amore fugace e di dolente dannazione.