Considerata la bassa frequenza di uscite del quartetto di Los Angeles (5 album in 26 anni), per oggettiva  collocazione e per tutto ciò che rappresenta, “Lateralus” incarna il giro nodale, la svolta definitiva nella carriera dei Tool , una specie di punto di non ritorno, a tutti gli effetti l’opera più riuscita, riuscendo a compattare e allo stesso tempo sviluppare tutti gli ingredienti già  contenuti nel precedente “Aenima”, con un risultato convincente sia a livello di critica sia di riscontri commerciali, considerando la materia non easy listening del prodotto.

D’altra parte Keenan e compagni appartengono ad un’altra categoria, quella dei gruppi emersi dal post hard core americano, che non si riconoscono solo in un suono duro ed intransigente ma che sviluppano dentro questo schema contaminazioni visive, passioni letterarie, un’idea di spiritualità  originale, album dopo album sempre più approfondita con l’intento non dichiarato di costruire una propria cosmologia, un mondo di appartenenza dove non solo rifugiarsi, ma dove spogliarsi, porre delle domande, congiungere le riflessioni personali con l’espressività  musicale, assieme ad una rappresentazione ad immagini visionaria, fatta di forme e corpi destrutturati, in un tutt’uno di enigmatica ma potentissima valenza. Se si vuole, una forma d’arte tout court, non solo canzoni, un blocco unico, complesso ma riconoscibilissimo dove i sostenitori possono e potranno (almeno finora) sempre trovare quello che cercano, con leggerissime variazioni di volta in volta, ma con una connessione come pochissime band possono vantare.

Una connessione percettiva, uno scambio   reciproco sulla complessità  dell’organismo Uomo, sul suo sistema di controllo e di fragilità , sull’ancoraggio delle nostre sensazioni ai corpi,   sui desideri e sulla volontà : questi sono i temi da sempre trattati da Keenan nei testi delle canzoni, comprese quelle di questo album zeppe di riflessioni interiori, ma anche di momenti lirici altri (“Schism”, il famoso chorus “between supposed lovers” ad esempio).

Ecco quindi che questa appartenenza inscalfibile tra fan e gruppo, beninteso tipica solo delle grandissime band e quando parliamo di Tool siamo forse sul podio delle migliori band rock dell’ultimo trentennio, si materializza in un album come “Lateralus” che dal punto di vista musicale presenta una progressione ulteriore rispetto al passato, dove all’interno delle oramai classiche strutture delle canzoni si inserisce un uso sempre più marcato delle percussioni,   aumentando il lavoro instancabile del buon “macigno” Carey e di spinta quello del basso di Canchellor, ponendo al centro dei pezzi sempre di più la sezione ritmica, dando ai brani una forma ancor più avvolgente e magnetica. Qui dentro ci sono delle canzoni giganti, 4-5 uniche (“The Grudge”, “Schism”, “Parabola”, “Ticks and Leeches”, “Lateralus”), ipnotiche e allo stesso tempo vertiginose, con la chitarra di Adam robotica ma che ai apre sempre di più ai riff alla Hendrix quando opportuno, con quei tempi sfalsati marchio di fabbrica, con quella dicotomia classica tra climax e discesa, che forse sì appartiene ad un’idea di progressive evoluto, ma che rimane solo come spunto da dove partire, perchè la musica dei Tool è qualcosa di più: una specie di liturgia ritmica che si fa dentro la composizione stessa, che spesso non si avvale delle canoniche forme di misurazione stessa del tempo musicale, ma non per tecnicismo, ma per inclinazione. E’ come se la band funzionasse come un motore, un formidabile processo di ingegno, una macchina autonoma che si riproduce e produce sempre materia nuova e  d’altra parte nella sua essenza questa è la vera espressione dell’ispirazione, che vale per qualsiasi genere, produrre qualcosa che nelle premesse non era scontato prevedere, lasciar andare i corpi, le note, gli strumenti.

E poi c’è il grande cerimoniere, Maynard James Keenan, formidabile nell’indirizzare l’umore della stessa canzone in territori malsani, tra rabbia e angoscia, tra tormenti e passioni: l’apice forse è in “Ticks and leeches”, una specie di canzone definitiva dei Tool: intro con batteria marziale con chitarra acida e  poi arriva “Suck it dry” urlato e da lì deliri e contorsioni: 8 minuti e rotti di rimbalzi, stop and go, con Keenan magistrale nel vomitare la sua evidente incazzatura  fino al tumultuoso ed epico finale. Una canzone da brividi, che è stata portata anche poco dal vivo, forse proprio per le sue caratteristiche di violenza eccessiva.

Appunto, c’è della sana violenza dentro “Lateralus”, in questo molto in sintonia con il vero primordiale spirito hard core, ma c’è soprattutto la volontà  di forzare gli schemi, dentro la scrittura, nelle immagini, nella musica, dentro la carne, oltre le ossa, dentro il nucleo, così come suggerisce l’iconica copertina: vero prodotto virale, un morbo che si insinua dentro la nostra parte percettiva, creando dipendenza, addizione da un rito che trova ogni volta rinnovati gli stessi attori e gli stessi adepti.

Qualcosa di più che solo musica, qualcosa di necessario.

Pubblicazione: 15 maggio 2001
Durata: 78:56
Tracce: 13
Genere: Rock progressivo, Rock sperimentale
Etichetta: Volcano II
Produttore: David Bottrill, Tool

Tracklist:
1. The Grudge
2. Eon Blue Apocalypse
3. The Patient
4. Mantra
5. Schism
6. Parabol
7. Parabola
8. Ticks & Leeches
9. Lateralus
10. Disposition
11. Reflection
12. Triad
13. Faaip de Oiad