Grande attesa per il secondo lavoro dei Black Midi e finalmente eccolo qui, pronto per essere osannato forte di un hype crescente.

Ma è veramente cosi brillante questo album? Ci troviamo davvero di fronte al miglior disco dell’anno?

Direi di iniziare con alcune considerazioni. La prima è il luogo comune che i secondi album sono sempre i più difficili e di solito deludenti, dicevo un luogo comune quindi non necessariamente vero, la storia è piena di seconde fatiche che rappresentano l’inizio piuttosto che la fine, almeno per le band di un certo spessore.

Questo secondo lavoro è sicuramente un passo avanti rispetto a “Schlagenheim”, non è detto che sarà  apprezzato da chi ha amato il loro esordio ma indubbiamente i Black Midi si confermano band importante.

La seconda considerazione è personale e nasce da questo ascolto, ma anche da quello che ho avuto per il nuovo album di Iosonouncane (qui trovate la mia recensione): ci sono album che hanno una complessità  che necessita di un ascolto più approfondito, e, fortunatamente, è l’impegno del doverlo recensire che me lo permette.

Ad essere sincero “Cavalcade” mi ha messo alla prova, è un album al quale non avrei dedicato così tanti ascolti se non avessi avuto l’incarico di scriverne e se non lo avessi ricevuto qualche settimana prima, forse, non lo avrei tenuto in ascolto per così tanto tempo. Mi sarei forse uniformato al tipo di ascolto attuale, determinato da Spotify e divinità  simili, una fruizione basata sull’usa e getta di interi album o magari di un frenetica selezione di qualche brano preferito senza affrontare l’insieme. Ne discutevo qualche giorno fa cercando di spiegare come l’ascolto di un tempo, basato su un supporto già  di per se affascinante come il vinile era una specie di rito, la scelta di cosa comprare, la felicità  per la presenza dei testi, o la delusione in caso contrario e poi l’approccio a qualcosa di assolutamente nuovo, niente YouTube, spesso neanche un passaggio su MTV ad anticipare.

Certo, a volte, l’acquisto risultava deludente ma l’ascolto restava lo stesso, il tempo era comunque dedicato.

“Cavalcade” mi ha fatto ripensare a queste cose perchè è un disco complesso, molto più di “Ira”, che tutto sommato ho trovato abbastanza immediato. “Cavalcade” è un album che ho cercato di scardinare e farmi piacere, o meglio, di trovare la chiave giusta per farmelo piacere, perchè è indubbiamente un lavoro valido, scritto, diretto e disegnato da ragazzi talentuosissimi.

Dopo tanti ascolti resta però il dubbio, mi ha convinto ma non del tutto.

Partiamo dall’inizio “John L”, di solito non ascolto le anteprime degli album ma a volte non resisto e così mi sono andato a vedere il video quando è uscito come singolo, al primo ascolto ho pensato che fosse un pezzo forte e il video che lo accompagna ha quel giusto senso di follia e inquietudine, il tutto si sposa bene.

Quando poi ho messo mano anche al testo ho chiuso il cerchio, la storia di questo predicatore o ancora meglio “messia” che arriva in città  e viene osannato e poi fatto a brandelli, oltre che essere evocativo e affascinate , spiana la strada alle interpretazioni. E’ un gran pezzo bisogna entrarci dentro, ecco la chiave di lettura, è un po’ come il coraggioso film “Mother!” del regista visionario Darren Aronofsky, che culmina con la scena del sacrificio del neonato, non lo avete visto ? Male.   Non vi è piaciuto? Peggio.

Quindi grande e potente partenza dell’album,   con “Marlene Dietrich”, il secondo brano, però ci si calma, il ritratto di Marlene Dietrich mentre si esibisce, è accompagnato da un sound che crea un’ atmosfera teatrale, con la voce di Geordie Greep quasi da crooner, cosa che si ripeterà  in altri brani e che abbiamo già  incontrato in diverse band.

“Chondromalacia Patella”, dopo un inizio potente nel quale la sezione ritmica, uno dei pezzi forti della band, si scatena, prende un percorso jazz, seguita da “Slow” che sembra ripetere la costruzione del precedente e finiscono   insieme per muoversi tra post e math rock.

“Diamond Stuff” è invece contraddistinto da una lunga e ripetuta introduzione con la chitarra, alla quale si uniscono gli altri strumenti e la batteria, in un’abile costruzione che sembra slegata. “Dethroned” parte con i fiati, seguita dall’ottima batteria, è un brano che indubbiamente colpisce nel segno.

“Ascending Forth” chiude il lavoro in modo brillante e abbassa la tensione di un album che ti scuote e chiede concentrazione, un ascolto stimolante che concede poco alla melodia, cosa che si nota maggiormente quando il ritmo si abbassa, ma che in compenso sfodera arrangiamenti mai banali e un sound più pieno e rifinito del loro esordio: un sound che cerca di abbassare le tue difese e conquistarti.

Per quanto mi riguarda non ci è riuscito del tutto, senza dubbio un bel lavoro che non dimenticherò, ma che allo stesso tempo frequenterò ancora per poco, le aspettative erano alte ma per il capolavoro di questo 2021 dovrò ancora aspettare.

Photo Credit: Anthrox Studio