Non una vera e propria raccolta di inediti nuovi di zecca, bensì una gustosissima operazione nostalgia che sarà  in grado di rendere più che felici i fan dei Descendents in versione originale. Le diciotto tracce di “9th & Walnut”, a esclusione naturalmente della cover di “Glad All Over” dei The Dave Clark Five, sono state scritte tra il 1977 e il 1980, quando la band californiana si trovava ancora agli albori e lo storico cantante Milo Aukerman era in attesa di prendere possesso del microfono.

Il titolo del disco fa riferimento all’indirizzo della sala prove di Long Beach dove i giovanissimi Frank Navetta (chitarra, scomparso prematuramente nel 2008), Tony Lombardo (basso) e Bill Stevenson (batteria) hanno concepito e suonato fino allo sfinimento i pezzi qui contenuti, tutti scartati dopo l’ingresso in formazione di Aukerman e l’avvio dei lavori su “Milo Goes To College”, il seminale debutto datato 1982.

Registrate con lentezza ed estrema calma in sessioni sparse tra il 2002 e i mesi del primo lockdown del 2020, le canzoni ci restituiscono la particolarissima immagine di un quartetto che, senza ritoccare di una virgola le vecchie composizioni, interpreta il ruolo del gruppo alle prime armi ma, al tempo stesso, non fa nulla per celare la maturità  e l’esperienza di chi il sound tipico del punk rock della West Coast non solo ha contribuito a forgiarlo, ma l’ha segnato in maniera indelebile.

La scelta di dare al disco una veste cruda, grezza e scarna – quasi a voler imitare un suono a metà  strada tra demo e concerto dal vivo in un’affollatissima bettola ““ è encomiabile. Emergono con chiarezza la grinta e l’energia dei Descendents, che con “9th & Walnut” compiono un piccolo miracolo: tornare giovani senza suonare giovanilisti.

La voce sguaiata ma dall’impronta melodica di Milo Aukerman, per la prima volta alle prese con questi brani, infonde forza fresca tanto alle pagine più d’impatto, tendenti all’hardcore (“Sailor’s Choice”, “Lullaby”, “Baby Doncha Know”, “It’s My Hair” e la fulminante “Yore Disgusting”), quanto a quelle in cui, tra le crepe aperte dai riff assassini di Navetta, dalle rullate di Stevenson e dalle favolose linee di basso del virtuoso Lombardo, si insinuano leggere fragranze pop dalle sfumature “’60s (davvero favolose “I Need Some”, “To Remember”, “Mohicans” e una “Tired Of Being Tired” degna dei migliori Bad Religion).

In appena venticinque minuti di punk rock duro e puro, i Descendents mettono in mostra lati più o meno conosciuti del loro inconfondibile stile. Sorprendono positivamente i vaghi richiami al post-punk e le sonorità  oscure e graffianti di “Grudge”, “I’m Shaky” e “Nightage”, straordinariamente moderne nonostante i quarant’anni abbondanti sul groppone. Antiquariato punk di estremo valore: se amate il genere, non lasciatevi scappare “9th & Walnut”.