Si fa aspettare: ma solo per non deludere le aspettative. Adele è quel tipo di artista che non segue il trend: ne crea direttamente uno tutto suo. Cantanti da tutto il mondo ne invidiano l’autentico tocco di re Mida, capace di trasformare ogni disco in un classico immortale ed ogni hit in un capolavoro che talvolta raggiunge e talvolta flirta col miliardo di streams su Spotify. E così ““ dopo “25” ““ è finalmente arrivato il turno di “30”, quarto album in studio della cantante londinese, che riesce ancora ad offrire degli spunti a dir poco interessanti. Non ci sono dubbi, ammesso che qualcuno ne avesse mai avuti: ci troviamo di fronte ad un ottimo lavoro che risente della vita privata di miss Adkins ed, in particolar modo, del suo recente divorzio dall’ex marito Simon Konecki: basti pensare alla struggente “My Little Love” che, vedendo la partecipazione del figlio Angelo ““ avuto proprio dalla relazione con Konecki ““, regala uno dei momenti più coraggiosi dell’intera composizione, con una madre intenta a rivelare le proprie debolezze al proprio bambino. Se non altro, per sottolineare quanto l’importanza del dialogo all’interno di una famiglia sia fondamentale e mai così scontata.

“30” ““ combinando pop soul, R&B ed elementi hip hop ““ si presenta come un lavoro vario, fluido ed emozionante, e forse come il più complesso della cantante inglese. Dopo un inizio lento, si passa al super singolo d’anticipazione “Easy On Me”, una ballata al pianoforte che da più di un mese resiste nella testa degli ascoltatori di tutto il mondo (magari non alla stessa maniera di “Hello” o di “Someone Like You”, ma poco importa); “Cry Your Heart Out” ““ con un sapore piuttosto vintage e decisamente affascinante per il 2021 ““ esalta il pianto come strumento umano di liberazione, preparando alla classica hit à  la Adele, ovvero “Oh My God”, autentico banger del disco che ne evidenzia lo stato di grazia. Neanche il tempo di riprendersi, che quello che definisco un pop di qualità  ““ e sia maledetta quella chitarra così efficace ““ si palesa sotto il nome di “Can I Get It”, la quale non farà  nient’altro che preparare ad una seconda parte del disco pregna di qualità  e contenuto, dove spiccano le impeccabili “I Drink Wine”, “To Be Loved” ““ forse il miglior brano del disco ““ e “Love Is A Game”, degna chiusura di un lavoro tanto importante quanto sentito.

Adele si mette a nudo come mai prima d’ora ““ con sincerità  e coraggio da vendere ““ ricordandoci che c’è bisogno di tempo per metabolizzare determinati eventi, da convertire poi in autentiche opere d’arte. Lontano da qualunque forma di musica “usa e getta”, “30” si inserisce perfettamente all’interno di quel quadro contenente i migliori classici degli ultimi anni e lo fa con la solita personalità  che da sempre contraddistingue la sua autrice: con una perfomance vocale da brividi, di fronte alla quale non si può rimanere indifferenti. Con queste premesse, non posso fare altro che augurarmi un “35”, un “40”, un “50” e via dicendo, tutti sulla stessa linea di principio che ha caratterizzato i loro predecessori: quella che stabilisce che serve tempo per creare qualcosa che rimanga per sempre.