è un ritorno all’insegna dell’hard rock più fragoroso e robusto quello dei Darkness di “Motorheart”, settimo tassello di una discografia partita nel più sensazionale dei modi nel lontano 2003 con il clamoroso successo di “Permission To Land”, che donò loro un’inaspettata ma tutto sommato meritata fama internazionale grazie a super-hit del calibro di “I Believe In A Thing Called Love” e “Growing On Me”.

Da allora di acqua sotto i ponti n’è passata per Justin Hawkins e compagni: il flop di “One Way Ticket To Hell…And Back” nel 2005 e lo scioglimento arrivato a stretto giro hanno sicuramente lasciato un segno sulla pelle della band che, tra continui cambi di line-up e un sostanziale ridimensionamento delle aspettative, è da ormai dieci anni che sta provando a risalire la china con album che, pur non raccogliendo più le attenzioni del grande pubblico, sanno come farsi apprezzare dagli amanti del genere.

E le dodici tracce di “Motorheart”, fedeli al trend positivo delle uscite post-reunion, non deludono in alcun modo le aspettative. Senza strafare o inventarsi nulla di nuovo, i Darkness portano a casa il risultato con un lavoro privo di colpi d’artificio ma estremamente solido, pieno zeppo di quell’ironia dissacrante che è da sempre un marchio di fabbrica.

Quarantacinque minuti di hard rock moderno ma dal gusto classico. Melodico, energico, coinvolgente, tecnicamente ineccepibile e screziato di power pop – anche se i numerosi sconfinamenti in territori metallici (“Welcome Tae Glasgae”, “It’s Love, Jim”, “Motorheart”, “Nobody Can See Me Cry”) lo rendono un filo più heavy rispetto al precedente “Easter Is Cancelled”.

Hawkins continua ad abusare del falsetto ma si fa perdonare con una sfilza di riff e solos da manuale (“Sticky Situations”, “Jussy’s Girl”, la thinlizziana “Eastbound”) e qualche piacevole sorpresa, come le atmosfere gotiche che tingono di nero “Speed Of The Nite Time” ““ che, per quanto assurdo possa sembrare, contiene pure alcune reminiscenze post-punk ““ e gli archi e i fiati che impreziosiscono la già  citata “Sticky Situations” e “It’s A Love Thang (You Wouldn’t Understand)”. Formula che vince non si cambia!