La dilogia pandemica dei Boris si conclude con “W”, un lavoro tutto all’insegna dello shoegaze più sognante ed etereo. Provate a unire il titolo del nuovo album a quello del precedente, “NO”, e magicamente otterrete una chiara indicazione dell’assoluto protagonista dell’ambizioso progetto appena concluso dal gruppo di Tokyo.

Ogni cosa ruota attorno al “NOW”, ovvero il nostro terrificante presente: un’era totalmente dominata dalle incertezze che il trio giapponese, dopo l’iniziale approccio “pesante” a base di metal e hardcore, oggi affronta con una sorprendente serenità  e dolcezza, prediligendo i toni pacati di una musica leggera leggera che, in più di qualche occasione, si fa pura evanescenza, in bilico tra le atmosfere placide dell’ambient e quelle decisamente più inquietanti del drone.

I due album, in qualche modo, sembrano effettivamente voler seguire ““ o imitare ““ le diverse fasi che le nostre esistenze hanno attraversato in questi anni tragicamente segnati dall’emergenza sanitaria. Alla rabbia esplosiva di “NO”, reazione d’impulso ai lockdown e alle varie restrizioni che d’improvviso hanno disintegrato le nostre abitudini, segue la rassegnazione pura ma non disperata di “W”.

Con questo disco i Boris provano a ritagliarsi il loro personalissimo spicchio di pace nel caos; la perfetta colonna sonora per un isolamento da vivere in maniera quasi trascendentale, proiettandosi al di fuori di una realtà  quanto mai deprimente e ansiogena. A infondere grazia, eleganza e delicatezza all’opera è la voce vellutata della chitarrista/tastierista Wata, che sembra quasi sciogliersi tra i riverberi, le melodie “liquide” e i suoni indistinti che fanno da contorno a “Icelina”, “Invitation” e “You Will Know (Ohayo Version)”, brani dalla fortissima impronta shoegaze.

Nel medesimo gruppo potremmo pure inserire l’epica “Beyond Good And Evil” – non fosse per le fragorose chitarre elettriche che entrano in scena allo scoccare del secondo minuto, riportandoci indietro di un anno e mezzo alla furia metallica di “NO”.

E non è neanche un episodio isolato, a dirla tutta. Tralasciando le sfumature trip hop/noise di una “Drowning By Numbers” in cui i Boris sperimentano con quella che potremmo definire una versione oscura del funk, è lo strumentale “The Fallen” – tra il riffing di scuola thrash e il passo lento tipico del doom ““ a far la figura del vero e proprio pesce fuor d’acqua nelle acque quiete di “W”.

Un lavoro in cui vale davvero la pena immergersi, nonostante la totale assenza di scossoni e la noia sempre e costantemente dietro l’angolo. “NO”, a mio modesto parere, era tutta un’altra storia: una raccolta di tracce eccitanti, frenetiche e vive. Ma questa è una creatura completamente diversa: una medicina sana e piacevole per guarire dalle ferite aperte dall’album precedente e dimenticare, anche se solo per poco più di mezz’ora, gli infiniti orrori della pandemia.

Credit Foto: Yoshihiro Mori