è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor”, di “Iosonouncane meno male che esisti”, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni”, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

SPECIALE GREEN SELECTION

EMANUELE COLANDREA, Belli dritti sulla schiena (album)

Forse, ma magari levo anche il forse, la penna più interessante della scena autorale romana degli anni Duemiladieci. Ma anche Venti, e forse Trenta. Emanuele con la penna taglia, scava nel profondo, inserisce nel cuore e nello stomaco di tutti un pugno di canzoni che bruciano e leniscono, contemporaneamente, come fanno quei fenomeni che non riesci a ricondurre a razionalità , poi sutura il tutto lasciando la firma del chirurgo assieme a quella del cantautore. Fatto sta, che sin dal primo ascolto, il nuovo album di Emanuele si incastra dentro e non si scolla più.

MARAT, Tempesta e calci (EP)

Marat giura inequivocabilmente (e non facciamo fatica a crederle) di avere spalle larghe e adatte ad impattare sulla crisi valoriale di una canzone d’autore che necessita di tutelarsi sì, ma rigenerandosi nei suoi linguaggi e nelle sue immagini. Ecco quelle di Marat, di immagini, sono dense, colorate, dinamiche, pregne di suoni messi al posto giusto, figlie di un approccio consapevole e identitario alla scrittura intesa anche come composizione (toh, una musicista che fa musica! Allora succede ancora”…). Di rabbia, ce n’è un sacco; di qualità  anche. E forse, pur nel suo essere manifesto intimo e personale, l’EP d’esordio di Marat possiede anche qualcosa di romanticamente generazionale.

OLMO, Tornerai (EP)

Un po’ Bindi, un po’ Lauzi, un po’ Brel, un po’ Piaf, un po’ Dylan, un po’ tante cose che però non si riescono più a distinguere nei loro rispettivi contorni grazie ad una visione d’insieme che Olmo ha e che ne contraddistingue lo stile un po’ onirico, un po’ sospeso, un bel po’ “di gusto”: Bella scoperta (parlo per me) quella di oggi, un artista da tenere d’occhio sopratutto perchè, esule come mi pare essere oltre i confini nazionali, rischiamo di perdercelo per via di quella “fuga delle ugole/cervelli” che sta rendendo il Belpaese un po’ meno Bel, un po’ troppo paese.

ZERELLA, Secondo

Buon ritorno anche per Zerella, che con “Secondo” riscopre una somma di sonorità  che magari potevano anche aleggiargli già  in testa da tempo, ma che non aveva mai sommato nella produzione di un brano che respira d’internazionalismo e lo fa per bene, senza pose o maschere di comodo. Il testo come sempre taglia per bene, con una buona dose di solito e concreto autolesionismo poetico: una messa a nudo che comunque fa bene a tutti, primi inclusi.

AIGI’, Io che non

Gasa il nuovo singolo di Aigì, che dopo un digiuno durato troppo torna a farsi sentire con un brano che elenca la somma di cose che Antonio sa di non essere, attraverso la trama giusta di un arrangiamento che fa della contaminazione il proprio specifico quid artistico: il piglio autorale, però, rimane forte e luminoso anche laddove la metrica costringe la penna e la voce a farsi funambole, per non scadere nel prosaico. Risultato? Il brano gode di un equilibrio invidiabile e arricchisce non solo lo stomaco, ma anche la testa.

SENNA, tuttapposto (album)

Inutile che lo ripeta, ci troviamo di fronte ad uno dei pochi progetti autorali davvero convincenti sulla scena: mi chiedo, ad ogni nuovo play, come faccia la creatività  di una proposta a farsi così compatta, unica e “tonda” anche quando l’uno, in realtà , è trino; di certo c’è un tocco di “divinità ” nei Senna capace di ricondurre le sensibilità  plurime ad un unico medium, ad un unico canale in cui scorre world music, folk, pop d’autore ben fatto e un approccio tecnico alla lavorazione del suono che, ad onor del vero, costituisce parte fondamentale e centrale della riuscita di “tuttaposto“. Dieci tracce in minuscolo che minuscole non sono: nei microcosmi che ad ogni traccia si schiudono si nasconde lo sguardo di una generazione diversa, che esiste e resiste in mezzo al caos e al rumore assordante di questa contemporaneità  in rovina.

LA COMPLICE, Cerotti

Mi piace tanto La Complice, perchè è una di quelle voci e penne che sanno mettersi a nudo senza imbarazzo, e allo stesso tempo (cosa ancor più importaste) senza pose di sorta: “Cerotti” è il brano giusto per lenire ferite e squarci che sembrano non cicatrizzabili; le immagini sono giuste, efficaci a dare a tutto la giusta solennità  senza peso retorico. La produzione si fa apprezzare, eccome.

REBECCA, Osiride

Ma che bello il nuovo singolo di Rebecca, scoperta fresca fresca di oggi che rinnova la consapevolezza che le nuove leve del cantautorato femminile, oggi, sembrano essere ben più sul pezzo con tutto ciò che sta succedendo oltre i confini nazionali rispetto ai colleghi maschietti. “Osiride” sposa insieme l’esotismo di Rosalìa con sonorità  a metà  tra Kings Of Convenience e Sigur Ros: insomma, un bel melpot che emoziona ancor prima di piacere. E poi, ovviamente, piace.

ARIO DE POMPEIS, LORENA BARTOLI, Amanti Distanti

C’è Fossati, c’è Mina e Celentano, ci sono gli anni Sessanta che incontrano quelle sonorità  derivate da tanta musica sudamericana che ben si incolla al timbro sabbioso di Ario, perfetto partner in crime per la carezza morbida della voce di Lorena. Un brano che parla d’amore con il ghigno sornione e un po’ ammiccante dell’amante.

MATHELA, Confusione

Viva la gioventù, viva la rabbia rock’n’roll e genuina di chi esce per le prime volte dai garage per affacciarsi al mondo dei palchi e dello studio, senza perdere la grinta della sala prove. I Mathela sono giovanissimi, lei ha una voce che ricorda quella di Veronica Lucchesi e in generale l’impatto sonoro del tutto lascia allo stomaco quella bella sensazione di essere sul bordo del tracollo: troppi pugni al basso ventre, ognuno scandito dal incalzante pulsare di una ritmica che non respira mai.

FEDERICO CACCIATORI, Mondo Virtuale

E’ tornato anche Cacciatori oggi, quel Cacciatori che abbiamo già  avuto modo a più riprese di raccontarvi qui e che oggi decide di scendere in campo con un’uniforme tutta nuova, che di “uniforme” ha poco perchè Federico, più che ad uniformarsi, sembra voler sempre più tendere a distinguersi dalla prevedibilità  contemporanea: sul filo sottile di un cross-over che avevamo già  avuto modo di apprezzare in passato, il compositore toscano tira fuori dal cilindro una hit da ballare ovunque, rimedio e farmaco alla distanza virtuale (e concreta) che ha avvelenato sempre di più il nostro modo di relazionarci al mondo. Suoni giusti, buone timbriche e palla al centro, in attesa di capire dove ci porterà , domani, la partita.

ANGELO IANNELLI, Così scappo da te

Un bel cantautorato che un po’ ricorda Venditti, un po’ Cocciante: nelle trame poetiche di Angelo c’è tutto un mondo di riferimenti che fanno bene alla memoria e al cuore; un buon vibrato che fa vibrare il senso di un testo tagliente, vecchia scuola. Con tanto di citazione del più grande degli chansonnier italiani.

MIRIAM RICORDI, Metabolismo

Appena parte il brano capisci che il supermercato in cui si sta aggirando Miriam è quello del rock’n’roll delle origini, con tanto di evidente riferimento ai Rolling Stones e alla loro simpatia per il diavolo. Il brano esplode bene sul ritornello non perdendo l’appiglio pop che contraddistingue la scrittura leggera (ma non superficiale, affatto) della cantautrice.

IL MAESTRALE, Genesi

Interessante piglio da latin-pop quello de Il Maestrale, con certe assonanze con Rosalìa alle quali fanno da contraltare reminiscenze di Carmen Consoli. Quando parte la cassa in quattro la temperatura si alza e rivela la versatilità  di un progetto da seguire con attenzione.

BIPUNTATO, Cose sparse (album)

Niente male il primo album di Bipuntato, artista che da queste parti è già  passata più volte dimostrando, ad ogni nuova uscita, un certo eclettismo che oggi confluisce nel giro di una tracklist che mescola indie, pop, elettronica e mainstream sotto il segno, però, di un approccio autorale che si fa godere bene.

FOJA, Miracoli e Rivoluzioni (album)

Di entrambi, Miracoli e Rivoluzioni dico, ne abbiamo un bisogno disperato. E anche dei Foja, abbiamo tanto bisogno: giusto per ricordarci quante cose belle accadono in Italia, e quale forma nuova può prendere la tradizione attraverso il dosaggio giusto di radio e futuro; dodici canzoni che mescolano canzone napoletana, folk d’autore, rock e una squisita idea di pop che deriva dalla contaminazione fra tutte queste cose. Con uno sguardo ben fisso sull’attualità  che fa male e bene allo stesso tempo.

TENUE, Eccezione (EP)

Avete voglia di sfogare istinti primordiali che ammalano il cuore e appesantiscono l’anima? Ecco, allora credo che non vi sia nulla di più funzionale alla catarsi dell’ascolto di “Eccezione”, il nuovo EP dei Tenue che mescola insieme post-rock, elettronica, dark-wave e una certa attitudine autorale che rende i cinque pezzi del disco piccolo manifesto personale in cui potrebbe specchiarsi in un’intera generazione.

YULE, Il Mostro

Buon esordio per Yule, che tira fuori dal cilindro una confessione a denti stretti che giova dell’approccio cross-over di una produzione ben fatta, oscillando fra pop, elettronica ed un certo slancio rock che ben esalta il senso di un testo interessante: sicuramente, utile a far risaltare il senso di una canzone che si fa ascoltare, mettendo a nudo il potenziale di un’artista da seguire con attenzione.

NUELLE, ATTILIO, Fortissimo

Dopo l’esordio, qualche mese fa, Nuelle e Attilio tornano con un brano che si muove sul crinale della hit senza perdere, allo stesso tempo, la “profondità ” necessaria a restituire al tutto quell’intimità  che, per quanto urlata, racconta tanto di due personalità  artistiche da seguire. Buon brano, con un claim interno che si fa ricordare. Fortissimo.

MALAMORE, Il tempo per noi (album)

Ho scoperto Malamore in occasione dell’ultimo singolo che ha anticipato l’uscita, qualche giorno fa, di “Il tempo per noi”: fin da subito, la stoffa si percepiva e la pubblicazione del disco non può che confermare l’attitude di un progetto capace di snocciolare in una decina di tracce la propria appartenenza ad una classe che vale; echi seventies si articolano con una forma canzone che delizia i palati più pop senza apparire prosaica alle orecchie più esigenti. Tipo le mie, che rimangono piacevolmente colpite da un ascolto complesso ma mai appesantito, profondo senza retorica.

MIVERGOGNO, Filippine

Mi piace tantissimo Mivergogno, lo sento un po’ simile a me, che mi vergogno sempre un sacco a fare e dire qualsiasi cosa ma poi alla fine quando dico qualcosa finisco per dirla per davvero. O almeno, così mi dice la mia mamma. A Mivergogno, la mia mamma direbbe che lui è davvero bravo, che “Filippine” è un pezzo che esula da tutto ciò che è uscito oggi e che non dovrebbe smettere di cantare e scrivere canzoni. Fosse solo per far sentire a casa tutti i timidi/non-timidi come noi.

NEW MARTINI, Non ci lasceremo mai da giovani

Fine anni Settanta, lungomare di Ostia; sugli echi della dolcevita romana si levano le sirene del disastro imminente: gli anni Ottanta, l’appannamento delle ideologie, la distruzione punk, la caduta dei muri sì, ma anche l’inizio di nuove ere che non si sa ancora se saranno luminose o meno. Ecco, nel ’79 tutto questo era ancora lontano, anche se a tiro di schioppo: su quella spiaggia romana, non so perchè proprio romana ma mi va così, ci sono i New Martini che con un sound che ricorda un po’ Sorrenti un po’ Califano cantano tutta la loro voglia di spensieratezza, leggera e volutamente disimpegnata. E aiutano anche i nostri nervi da millenial a rilassarsi un po’.

I RAGAZZI DEL MASSACRO, Juvenile Street (album)

Spazio alla reminiscenza, fatta di fotografie sbiadite e ricordi che si fanno già  storia, ma che dico, cronaca di un epoca onirica, come solo l’adolescenza sa essere: I Ragazzi del Massacro, con il loro solito piglio a metà  tra Joy Division e new-wave italiana, tirano fuori dal cilindro un caleidoscopio di una decina di brani suonati con il coltello fra i denti, filtrati attraverso una rabbia che, a quanto pare, non è mai invecchiata. Anzi.

NONNOMATTIA, coccodè

Ci sono cose che non rispondono alle regole della logica: fra queste, di certo, c’è il motivo per il quale non riesco mai, ad ogni nuova uscita, a resistere al Nonno più giovane d’Italia, che con “coccodè” certifica che oggi, nell’era della pazzia legalizzata ma soprattutto “inflazionata”, chi è fuori di testa per davvero alla fine riesce sempre a raggiungere il cuore di chi sa ascoltare. Anche con una canzone che prendere sul serio è impossibile: dopotutto, ci vuole una grande serietà  e una discreta dose di talento per giocare davvero, senza fare la fine del buffone. E il Nonno, oh sì, che sa giocare davvero, divertendosi e facendo divertire.