Evidentemente la prima cosa che i fan vorranno sapere e se si tratti o meno di un nuovo disco dei Radiohead. Domanda più che legittima, se 2/3 della band sono Thom Yorke e Johnny Greenwood, affiancati in produzione e nella scrittura da Nigel Goldrich. Comincia il disco e “The Same” potrebbe far pensare che, effettivamente, il frutto non casca lontano dall’albero. Le atmosfere cinematiche, i synth profondi, la voce di Yorke, i campionamenti nel background sonoro, gli arpeggi tipici di Greenwood, ci portano in un territorio che sta tra “Kid A” e “A Moon Shaped Pool”. Il testo invita alla fratellanza universale: “We are all the same, please”, canta con un pò di disperazione Yorke.  

Poi, entra la batteria di Tom Skinner (già  con i Sons of Kemet), l’ultimo terzo della band e le cose cominciano a mischiarsi. “The Opposite” parla un linguaggio più complesso: in parte math-rock, in parte prog (piaccia o meno l’etichetta ai nostri, i fan dei King Crimson non potranno che riconoscere qualcosa). Ma sono sempre sketch brevi, canzoni che vanno intorno ai 3 minuti. Non c’è troppo tempo di rifletterci sopra e, sempre Skinner con qualche botta di hi-hat un pò punkettara, da il via a “You Will Never Work in Television Again”. Qui siamo passati al post-punk; i nostri sembrano strizzare l’occhio alle mode del momento. Ma come lo fanno! Con quanta leggerezza, semplicità , declinano un verbo musicale che dovrebbe essere rabbioso, ma diventa sofisticato, nella loro interpretazione, mentre cantano “bunga-bunga o non lavorerai mai più in televisione”. A questo punto, non può non venire alla mente che la moglie di  Yorke è  un’attrice italiana.

Giunti qui, musicalmente, la formula è chiara: un pò di Radiohead classici, un pò di post-punk moderno, molta atmosfera, ritmiche tra il jazz e l’afro-beat, post-math-prog rock a bizzeffe. Il disco prosegue tra momenti più quieti e altri più intensi, ma sempre ipnotico. Con alcune gemme assolute, di più o meno facile fruizione. “The Smoke” e “Thin Thing” lasciano stupefatti per come scorrono via e evidenziano il contributo essenziale del batterista alla formula dei The Smile, mentre i suoi compari sciorinano riff che scavano in profondità  e lanciano brividi lungo la pelle di chi ascolta.  “Free in the Knowledge” è una melodia che potrebbe degnamente stare accanto a momenti epici del passato come “Fake Plastic Trees”. “We Don’t Know What Tomorrow Brings” è post-punk degli anni ’20 che si candida a inno di quest’epoca, trascendendo le generazioni.

Che fossimo in territorio “genio assoluto” si sapeva da tempo, parlando di Greenwood e Yorke. “A Light for Attracting Attention” segna un nuovo capitolo nella loro strada verso l’immortalità  artistica. Un capitolo che non sembra inventare nulla, tra recupero del loro stesso passato e interpretazione del presente. E che pure inventa un nuovo disco e una nuova band, di luminosa bellezza entrambe che resteranno impresse nei nostri cuori e rendono alta l’attesa per le cinque date italiane di luglio. Li attendiamo con ansia.  

Photo: Alex Lake