“Charli”  è ufficialmente il terzo album di Charli XCX, al secolo Charlotte Emma Aitchison, dopo i due mixtape del 2017 (“Number 1 Angel” e “Pop 2”) che avevano in realtà  già  rimpolpato di materiale e di progressione stilistica una discografia che rimanda a “Sucker”, del 2013, l’ultimo capitolo riconosciuto sostanzialmente come long playing vero e proprio.  

Pur ammiccando ripetutamente con il pop da classifica (come nelle collaborazioni con Iggy Azalea, i tuor da spalla a Taylor Swift e il featuring nella hit degli anni duemiladieci per eccellenza, “I Love It” di Icona Pop), la songwriter britannica non è mai stata, a tutti gli effetti, parte integrante del mondo che popola le copertine di Billboard per suggellare i propri successi. Cresciuta esibendosi a rave party dell’Essex e avvalendosi sempre di una tagliente originalità  in termini di linguaggio, infatti, la sua ascesa è stata una costante scoperta di orizzonti diversi da quelli attaccati al perfezionismo radiofonico.

Certo, continua ad esserci molto dell’immaginario ultra-glitter di Britney Spears e Spice Girls e di quegli anni Novanta a cui tuttora l’artista fa riferimento, in maniera piuttosto creativa nei suoi testi. Ma il vero cuore pulsante di “Charli”è fatto di evoluzione, di un’attitudine che modifica il linguaggio di un pop che non esiste più e che è rielaborato in una commistione frenetica di ispirazioni contemporanee. Concettualmente, non è sbagliato dire che si tratta per larghi tratti di un pop 3.0, esattamente a metà  tra le accelerazioni del manifesto PC Music (la mano alla produzione di A.G. Cook, compagno di merende di SOPHIE, è estremamente riconoscibile) e l’espressione più moderata delle hit da primo posto nelle tendenze.

L’architettura sonora è una serie incalzante di montagne russe, fatta da un linguaggio sonoro dirompente, che da la sensazione di avere più della sola dimensione in cui effettivamente suona. Mai banale e priva di famelici esercizi di stile è anche la scrittura che, oltre al vantaggio di poter contare su parterre notevole di featuring ““ tra cui Troye Sivan, Lizzo, Kim Petras, Sky Ferreira, Clairo ““ è bilanciata dalla natura mai doma con cui la Aitchison ha spesso voluto misurarsi nel tempo.  C’è la conversazione introspettiva sugli abbagli della vita e le scelte più importanti, trattate come al solito con un fare piccato e provocatorio, c’è la ripetuta sfida a tirarsi fuori da quel rischioso affare che è l’amore, quando è sbagliato e ti presenta un conto diverso dalle aspettative.

C’è tanta leggerezza, perchè tanta leggerezza esprime Charli XCX, da sempre, nella trasposizione della vita in quel 3D che è la sua musica, il modo migliore in cui comunica un’eccentricità  mai doma. Esattamente come “Charli” da l’idea di un disco dalla personalità  autentica e vibrante, che gioca a superarsi anche quando non te l’aspetti.  Le trame magnetiche di una commistione tra r&b del futuro e warehouse pop sono imbottite a più riprese dalla penetrante sperimentazione avant-pop di Cook, che mette costantemente allo specchio più versioni di una Charli diversa: c’è quella di “Vroom Vroom” e di “Pop 2″ in “Click”   e “2099”, quella di “Number 1 Angel” nei singoli di lancio “Gone” (con Christine and The Queens) e “Warm” (con la band alt-rock statunitense HAIM).

Siamo lontani anni luce da “Boom Clap”, ma il sentore è che l’empatia dell’artista britannica verso nuove contaminazioni della scrittura ordinaria, catalizzata da un piglio decisamente più marcato a esplorare oltre quello che riescono a fare i nomi più in vista, sia rimasto invariato e sia cresciuto ancora, a vista d’occhio. E in maniera influente, per questo motivo, continuerà  probabilmente a sceglierne adesso le prossime rotte.