di Francesco Sciarrone

Il 10 luglio si è chiuso il mini tour Italiano di Andy Bell con la sua “Space station” che ha fatto tappa a Roma, nella splendida cornice del Teatro della Garbatella per la prima data dell’edizione estiva di UnpluggedInMonti. Il musicista inglese, conosciuto per i suoi passati nei Ride, negli Oasis e nei Beady Eye, porta avanti anche una sua una carriera solista, prima con il disco “The View From Halfway Down” del 2020, seguito da “Flicker” pubblicato proprio quest’anno.

Proprio l’ultimo disco è al centro del suo set, ricco di rimandi alla scena inglese Manchester, Big Beat e con batterie campionate ed elettronica che ricordavano i primi lavori di Ian Brown (“Unfinished Monkey Business”).
Questo nuovo revival ha trovato nuova linfa nella scena inglese, grazie soprattutto alla label Spirit of Spike Island (il nome dice tutto) e a gruppi come Pastel, Afflecks Palace e Vega Rally.

La proposta è innegabilmente di classe, il pubblico (per lo più affezionato al suo passato più che alla sua carriera come solista) apprezza i paesaggi sonori che il chitarrista crea in lunghe suite in cui attacca più brani assieme, alternandosi tra loop mandati dalla pedaliera e basi lanciate dai sequencer, e lì dove il ritmo sembra tentennare Andy gioca di furbizia, lasciando intravedere tra i passaggi di chitarra molti riff degli Stone Roses che riaccendono l’attenzione dei presenti.
Ma, come si suol dire, anche l’occhio vuole la sua parte e il set funziona più ad occhi chiusi che guardando il palco.

Dovendo creare un parallelo, Vega Rally ha una proposta live molto simile, anche lui con chitarra e basi a seguito ma il cantato è live, e questo crea un coinvolgimento maggiore sia del pubblico con il set che dell’artista con la sua stessa musica.
La totale assenza di una linea vocale per tutto il set, infatti, cosa che accade anche nei singoli di punta, smorza un po’ gli entusiasmi, perchè convoglia tutta l’attenzione sulla chitarra: ne risulta, alla fine, che Andy Bell non è un costruttore di suoni come Nick McCabe, nè un inventore di melodie come Bernard Butler, nè uno “snocciolatore” di riff in stile Squire (che comunque resta il principale riferimento per tutto il set). Per me Andy Bell è un “artigiano“, un musicista che sa bene quali fraseggi utilizzare per sostenere un giro di accordi, riuscendo ad inserire passaggi semplici ed essenziali a supporto della melodia, rendendo quindi più leggeri giri di loop che, in alcune occasioni, sono durati forse ben oltre il necessario.

In alcuni momenti -parere personale- ho avuto la sensazione che il nostro facesse più un workshop di chitarra che una concerto, ma, come dicevo prima, lì dove la canzone sembrava essersi incartata su sè stessa, ecco che arrivavano in aiuto il mestiere, l’esperienza….e gli Stone Roses!

A conti fatti una piacevole serata, resa però ottima dall’affabilità  di Andy prima e dopo lo show: non ha negato chiacchiere, sorrisi e autografi a nessuno dei numerosi presenti. E questo, visto lo status del musicista, è stato un grandissimo valore aggiunto.

Credit Foto: Eliana Giaccheri