Tornano le tre talentuose californiane con il sophomore “Excess” che bissa l’esordio “Signal” del 2019.
E’ ormai noto, soprattutto tra chi si era follemente innamorato della superba Belinda, che la band di L.A. scelse il proprio nome da una traccia dell’album delle Go-Go’s “The Beauty and the Beat”, uscito nel lontano 1981. La band è composta da Lola Dompè alla batteria e voce (figlia del batterista dei Bauhaus,  Kevin Haskins). Izzy Glaudini (Synths e voce principale) e Halle Saxon (basso e voce).

Registrato in tempi record da Joo Joo Ashworth (Sasami, FROTH), l’album tocca temi delicati e attuali, come il consumismo sfrenato, l’istinto animale della sopravvivenza personale, le minacce climatiche e la lotta delle èlite mondiali per il potere economico e il controllo sociale.

Temi questi che ben si associano e legano allo stile musicale del trio. Linea di basso che detta la melodia, batteria schematica senza fronzoli, stile motorik, synth che crea tappeti e raccordi con suoni vari e “robotici” come in “Automaton” un brano dove la Glaudini da il meglio di sè.

L’ipotetico abbandono della terra – Maybe there’s a new world out there, we can do it all again –, tema della opener “New Beginning”, è invece splendidamente enfatizzato dal perentorio cambio di ritmo che accentua la sensazione della partenza, o per meglio dire, della fuga dal pianeta ormai morente. Fuga inutile ovviamente, alle ricerca di un nuovo mondo al servizio del desiderio, qui con le sembianze di un consumismo senza fine (“Endless service of desire”).

“Venus Hour” è probabilmente il momento più fantasioso, con il dialogo vocale e la batteria che si permette anche qualche rullata in un brano dove insaziabilità  e dipendenza vengono ben descritte. Non si può di certo dire che di band come questa se ne trovino in giro a bizzeffe. L’ascolto di “Excess”, come del resto di “Signal” in un primo momento spiazza. Abituandoci al loro ritmo tuttavia tutto diventa più facile e piacevole. Non per nulla le troveremo in giro per il pianeta ad aprire i concerti di Parquet Courts, IDLES e Tame Impala.

Dal centesimo piano le note di “Skyscraper”, lente e cadenzate sfociano nello stupendo ritornello dove quella nota di basso che cade su “wanna – difference – gotta e money” creano una vibrazione che parole per descriverla non sono ancora state coniate…

You’re never brave enough to try” canta Izzy in “On the Edge”. Di coraggio invece le ragazze di L.A. ne dimostrano parecchio e i loro brani sanno creare emozioni che legandosi sia ai testi che all’accompagnamento musicale innescano curiose e insolite risonanze. L’album si chiude con “Turn Away” che esorta ad un atteggiamento fiducioso, un invito a girare le spalle ai pensieri negativi e al pessimismo.

Per le Automatic è un momento magico, assolutamente meritato.