Viaggiano sulle ali di un ipotetico flusso futuro integrato nel presente, i 3 dei The Comet is coming, rinnovando con questo loro quarto album la sensazione di trovarci sempre di fronte ad una sfida corazzata verso ambiti sonori che sfruttano stilemi collaudati per   azzardare però un’ipotesi maggiore del presente.

Il senso mistico che pervade da sempre la loro produzione e che anche in questo “Hyper-Dimensional Extension Beam” fa luce negli episodi meno irrequieti viene catapultato in un contesto musicale tellurico e deflagrante che contamina ancor di più la già  magmatica sostanza prodotta dal combo londinese, combinando in modo più compatto ed arcigno del solito le caratteristiche dei 3 musicisti, ma più che altro dei 3 strumenti suonati, sax synth and drums, come nell’iniziale “Code” o in “Atomic Wave Dance”, solidissime versioni di un dancefloor aggressivo e metallico, che non lascia spazio ad interpretazioni ma schiaffeggia con la sua indole serrata, col sax di Shabaka Hutchings che viene appunto usato quasi in senso scratch per capirsi, in un mood robusto a montaggio frenetico.

Altrove prendono piede spettacolari tappeti synth come in “Tecnhicolor”, brano superlativo che rende onore al piacere di una musica che grazie proprio a questo scatto di livello cementificato fra i componenti sviluppa un tentativo nobile di intravvedere una novità  nell’esplorazione di un jazz, che dalle sperimentazioni oniriche alla Sun Ra, da una fusion progressive anni 70 , faccia uscire una colonna sonora perfettamente adatta a questi scialbi momenti post pandemici.

In effetti, se mai dovessimo scegliere una musica che possa rappresentare idealmente un viaggio post, semplicemente post qualcosa, capace di allontanarci e rapirci dal presente con tutto quello che stringatamente questo volesse dire, dovremmo semplicemente abituarci ad ascoltare nella nostra evasione cerebrale, questo tipo di musica, a tratti veramente aliena, a volte ostica, ma facilmente proiettata verso qualcosa di inebriante che di certo non appartiene alla dimensione temporanea, ma a qualcosa di inconscio connaturato, frutto dell’urgenza studiata di 3 anime in vena di sognare, dei lucidi sognatori (“Lucid dreamer”); talmente lucidi che nei 3 giorni di sessions che hanno dato vita all’album, esiguo tempo che riflette anche nei modi di realizzazione la concisione della proposta, c’è comunque dello spazio per scaldare i cuori oltre che a scuoterli, ma anche di episodi di voragine emotiva, dei viaggi nel fondo dell’oscurità  con il maledetto bluesone di “Angel of darkness”, con Shabaka al suo massimo.

L’insieme di queste parti, la dance glaciale, le ballad cinematiche, la fusion sfrenata, la produzione focalizzata sulla strumentazione, insomma la saturazione del suono, rendono “Hyper-Dimensional Extension Beam” un prezioso monolite di un universo parallelo lontano, figlio di menti connesse con una realtà  che solo in parte si cela dietro suoni, manualità  tipiche di noi umani, ma che  dovremmo avere l’accortezza di ridefinire in un futuro prossimo come lungimiranti scoperte del passato, colte al volo come sulle scia di incombenti comete.

Credit Foto: Fabrice Bourgelle