Tra i gruppi che più di tutti sono riusciti a incarnare la parte oscura della musica degli anni ’80 figurano senza dubbio i Sisters of Mercy, che il decennio l’hanno cavalcato tutto, formandosi agli albori e concludendo il proprio viaggio con la pubblicazione di “Vision Thing”, ultimo album (a mio avviso poco ispirato) nel 1990.

Nel mezzo però ci sono stati due dischi che hanno contribuito in modo decisivo a definire il concetto di gothic rock, soprattutto “Floodland”, il secondo che oggi andiamo a celebrare a trentacinque anni dalla sua pubblicazione.

Era il 13 novembre 1987 e molte cose erano cambiate da quando la formazione britannica, capitanata da Andrew Eldritch, aveva fatto irruzione nella scena con il suo debut-album “First and Last and Always”, interessante e ricco di intuizioni, seppur realizzato in condizioni molto complicate, a causa di una crescente tensione accumulata fra i membri del gruppo.

Il bassista Craig Adams e il chitarrista Wayne Hussey, infatti, se ne andarono dopo il tour, e prima ancora aveva mollato Gary Marx, membro fondatore della band assieme a Eldritch, proprio perchè non riusciva più a lavorare serenamente con lui, e non furono pochi gli strascichi e le contestazioni che portarono i primi due a formare poi i Mission.

Eldritch si trovò così completamente da solo a tenere insieme le redini di un gruppo che comunque già  era fortemente connotato sulla sua figura e sulla sua dirompente, eppure fragile, personalità .

La sua visione musicale però stava andando modificandosi nettamente ““ e fu uno dei tanti motivi di crisi con gli ex compagni   -, volendo virare su atmosfere più gotiche, dark, dai toni wagneriani, lasciando in secondo piano le suggestioni wave chitarristiche degli inizi.

Pur essendo ormai diventata, quindi, la sigla Sisters of Mercy una sua emanazione diretta, Eldritch decise di darne ancora una parvenza di gruppo, arruolando la talentuosa bassista Patricia Morrison (già  nei Gun Club) che in questo nuovo corso lo avrebbe affiancato anche alla voce.

“Floodland” appare pertanto, sin dall’evocativa copertina, come un notturno affresco a immagine e somiglianza del leader, che ne curò anche la produzione, e colpisce per tutta una serie di motivi che al tempo lo resero un istant-classic del genere: l’immaginario suggerito, la potenza e pulizia del suono, i ritmi obliqui e ossessivi, oltre a una manciata di canzoni assolutamente rappresentative e salienti, non solo della loro avventura musicale ma di tutto un periodo musicale assai ricco di fermento.

A mettere subito in chiaro un cambio di prospettiva sonora ma soprattutto concettuale ci pensa “Dominion/Mother Russia”, posta sagacemente in apertura di scaletta, che avvolge l’atmosfera rendendola plumbea e maestosa, delineando così al meglio il mood dell’intera opera.

Il connubio tra le due voci, profonda quella di Eldritch, intrisa di dolcezza quella della Morrison, risulta estremamente affascinante, a creare un afflato romantico e malato. A scandire il tempo ci pensano agitate e taglienti note di basso e l’incalzante drum machine ribattezzata “Doktor Avalanche”.

A seguire ci imbattiamo nella lenta e funerea “Flood I”, che avrà  una sua appendice nella più ariosa “Flood II” ma prima di quest’ultima assistiamo ad alcuni fra gli episodi più importanti e caratteristici del disco, come l’onirica “Lucretia My Reflection”, poggiata su un magnifico giro di basso a issarla tra i manifesti più fulgidi dell’intera epopea dark dell’epoca, e il famoso singolo “This Corrosion” che ne funge un po’ da contraltare entrando a gamba tesa in territori movimentati quasi danzerecci, in un’epica rappresentazione di uno scenario gotico.

Pur riconoscendone la centralità , ho sempre pensato però che l’affermazione su vasta scala di un brano simile abbia finito per distorcere un attimo l’immagine e il significato più intrinseco del disco, che io invece ravvedo maggiormente in quei momenti più malinconici, algidi e introspettivi, come possono essere l’ipnotica e fredda “Driven Like the Snow” o la plumbea “Torch”, per non dire di “Colours” (queste ultime due inserite nella versione in CD) che chiudono il lavoro denotando l’anima più inquieta e sofferta di Andrew Eldrtch, che in queste canzoni riuscì a racchiudere invero tutto se stesso, con i suoi abissi e i suoi lampi accecanti di talento.

Considerato da alcuni fan della prim’ora un’opera ostica e un po’ al di sopra delle righe, “Floodland” ha avuto invece il merito e la naturale capacità  di saper toccare le corde di un’ampia fetta di pubblico, che rimase ammaliata da quest’aura magnetica e oscura che lo permeava ad ogni sussulto.

Considerato che per il suo ultimo lavoro a nome Sisters of Mercy, il Nostro opterà  per un sound e un umore nuovamente differenti, assecondandone un’indole se vogliamo più opprimente, è indubbio che sia rimasto proprio “Floodland” il titolo in catalogo esemplificativo e peculiare di una storia che, a distanza di così tanto tempo, riesce ancora a conquistare gli animi più tormentati e sensibili.

Sisters of Mercy ““ Floodland
Data di pubblicazione: 13 novembre 1987
Tracce: 10
Lunghezza: 49:45
Etichetta: Merciful Release
Produttore: Andrew Eldritch

Tracklist
1. Dominion/Mother Russia
2. Flood I
3. Lucretia My Reflection
4. 1959
5. This Corrosion
6. Flood II
7. Driven Like the Snow
8. Never Land (A Fragment)
9. Torch
10. Colours