In un contesto annuale dove molti buoni album sono arrivati da gruppi storici che in modo sorprendente hanno rinnovato il loro percorso con opere decisamente dignitose (Loop, Afghan Whigs, Suede ma altri) c’era il timore che questa inaspettata prova dei Leftfiled potesse rappresentare invece qualcosa di più sdrucciolevole perlomeno, più che altro per il genere fuori tempo massimo.

Niente di più sbagliato se la sensazione che si ha quando finisce ahimè “This is what you do” è di volerne subito ancora, di non credere che si possa riprodurre in quest’ultimo scorcio A.D. 2022 quell’ebbrezza del tutto elettrizzante e sfuggente che imperversò nei dancefloor degli anni 90, quando la musica elettronica prese definitivamente coscienza del proprio potere di attrazione verso tutto il mondo rock, finora estraneo alla commistione. Il duo inglese oramai ridotto alla sola verve di Neil Barnes riesce nell’intento di rendere ancora viva questa prospettiva di rendere l’impulso della contaminazione, fra appunto techno, house, big beat, trance, in un album tutt’altro di maniera, ma decisamente coinvolgente.

La questione è come dice in modo diretto il titolo che Leftfield fanno al meglio ciò che sanno fare, riproponendo in sostanza i fasti dei precedenti album mutatis mutandis, con synth carichi a dovere (“City of Sinth”), beat puliti e scarni , provando a riesumare un certo hype caro ai Prodigy (“Pulse”), terreni Orbital (“Power of listening”) addirittura sconfinando in ambito rave in più parti, “Accumulator” su tutte: voglio dire, prendete un brano come questo, dentro tutta questa architettura anacronistica, che certo ormai sarà  al decimo riflusso, non si può pensare ad un’operazione nostalgia perchè la pulizia del suono, il groove talmente viscerale se li portano via tutti questi sentori di vecchiaia, siamo ad un livello di passione superiore a molte cose che invece puzzano di rivisitazione. Se ci fosse una vera nuova club culture, cosa che non succederà  perchè manca il clima non la musica evidentemente, questo disco ne farebbe parte e non ci sarebbe niente di straordinario nel pensarlo come un iniziatore di una moderna cultura da dancefloor.

E’ questa fedeltà  ad un canone, l’intransigenza di amare e considerare ancora queste cose moderne e pronte per un nuovo contatto con le piste che fanno assumere a “This is what we do” un valore attuale importante, che fa sorridere per la genuinità , ma come dire stimola istinti mai sopiti: se poi ci mettiamo dentro anche lo scambio John Lydon di “Open Up” del 1993 con il Gran Chatten dei Fontaines in “Full way round” si capisce che Leftfield 30 anni dopo chiudono il cerchio, abbracciando il cantante della più importante band del momento ad un ambito apparentemente avulso dal contesto degli irlandesi ma perfettamente connesso con lo spoken lirico da boy in a better land, in un brano anche questo filo Prodigy maestoso, che diventa in questo dicembre 2022 forse una delle canzoni dell’anno, così, quasi senza che nessuno se ne accorga.

Chi l’avrebbe mai detto, Leftism.