Credit: Fabio Campetti

Arriva finalmente in Italia anche Aldous Harding, forse l’ultima artista in agenda a dover recuperare il proprio tour, dopo i vari posticipi legati all’incertezza sanitaria, torna nel nostro paese per presentare “Warm Chris”, quarto lavoro uscito giusto un anno fa.

Diciamolo subito, lei è deliziosa e se non con l’ultimo album, per cui si spendono comunque applausi, il precedente “Designer” è un piccolo capolavoro, arrivato nel 2019 per rimanere nel tempo tra i masterpiece di genere, un disco in grado di portarla ai piani alti, coccolata della critica d’élite e finalmente concederle la giusta considerazione.

Incide già dal secondo album per 4AD, per cui non mi stancherò mai di ripetere quanto sia la label per eccellenza, il simbolo sinonimo di garanzia e qualità.

Se con “Designer”, appunto, la songwriter neozelandese classe 90 ha raggiunto la meritata consacrazione, con il succitato “Warm Chris” l’ha consolidata, un disco diverso, per non ripetersi, ricercando una comoda comfort zone, forse più eccentrico e stravagante, meno geometrico del precedente, ma ugualmente sugli scudi, per cui è impossibile non volerle bene, relegandola tranquillamente tra le migliori interpreti della sua generazione.

Affiancata in studio, in cabina di regia, dall’immancabile John Parish, ma anche da Jason Williamson degli Sleaford Mods, quindi soprattutto dalla dolce metà H. Hawkline, musicista già nella nacking band, quindi incaricato di aprire tutti i concerti del tour, in quanto freschissimo di pubblicazione del suo nuovo album “Milk For Flowers”, licenziato dopo un lungo silenzio di sei anni. 

L’artista di Cardiff ritorna con un disco bellissimo, elegante e raffinato, già tra i papabili best of di questo 2023, prodotto da Cate le Bon, capace di riportare i classici in superficie dai Roxy Music, a Sir Paul, ma anche familiarizzare lo stesso background con quel fuoriclasse di Euros Child, sempre troppo sottovalutato. Quindi un gradito ospite ad aprire le danze per l’unica data di Aldous in Italia, Santeria è la venue, c’è il pubblico delle grandi occasioni, perché, sebbene riprogrammato, l’evento è esaurito in prevendita.

Parte Hawkline, come annunciato, per le 20,30, in solitaria con un piccolo registratore a nastro, da cui fa partire, alcune tracce, diciamo che fa di necessità virtù, andando a preferire un accompagnamento in loop, piuttosto che suonare in acustico, pur accontentandosi di un tappeto sonoro in sequenza, la porta a casa dignitosamente. Lui è comunque impeccabile, canto da crooner navigato e le canzoni rimangono, naturalmente, sopra la media, suona circa quaranta minuti e gli applausi sono sinceri.

Tempo di sistemare alcune cose, arriva Aldous Harding puntualissima per le 21, 30, alienata e spiritata, tra movenze assurde, balli improbabili e bizzarri, e una voce angelica, tra le più belle in circolazione, ci regala una performance, che è assolutamente difficile da descrivere, assurda di per sé, teatrale e fuori dall’ordinario. 

Chi l’aveva già vista, chiaramente, ne conosceva il contenuto e questo approccio quasi emotivo, per me è stata una vera sorpresa, difficile percepirlo da filmati online o dagli stessi videoclip. Sul palco accompagnata da una band di grande valore, una big family di polistrumentisti, tra cui, anche, come detto sopra, lo stesso Hawkline tra bassi e chitarre, lei stessa tra suite seduta imbracciando una classica o in free version in piedi, libera da strumenti, se non piccole percussioni; le canzoni, scelte soprattutto dai succitati ultimi due lavori, sono una più bella dell’altra, “Tick Tock”, “Fever”, “Fixture Picture”, la strepitosa “The Barrel”, c’è spazio anche per una “Bubbles” iniziata alle tastiere, ma interrotta, semplicemente perché non se la ricordava, quasi uno sketch comico preparato, come in una piece a teatro, quindi l’abituale “Designer” (setlist alla mano) a chiudere un concerto, che rimarrà nella memoria, poco altro da aggiungere, marziana.