Che cosa mi porta a partecipare con discreta frequenza alla rubrica in cui si celebrano gli anniversari dei dischi? Innanzitutto, il divertimento, nel senso che mettere per iscritto i ricordi che un disco mi ha lasciato e i motivi per cui si merita lo spazio celebrativo mi diverte un sacco. Però, senza falsa modestia, parte del divertimento nasce dall’idea che il lettore, grazie a quello che scrivo, possa mettere a fuoco, meglio di quanto avrebbe fatto senza leggermi, i punti salienti del contenuto musicale e la sua importanza nel contesto dell’epoca, o quantomeno quanto potesse risultare importante per uno che non solo sa scrivere, ma è e era genuinamente appassionato di musica. Spero che non vengano male interpretati gli auto elogi, perché secondo me chiunque scrive di qualunque cosa deve, onestamente, essere convinto della propria abilità nel farlo.

La difficoltà nel celebrare “Version 2.0″ sta proprio nel fatto che letteralmente chiunque ha molto chiari i motivi per cui questo disco è meraviglioso, e ha anche dei propri ricordi legate a queste canzoni che, certamente, non si sono persi tra le pieghe della memoria, e sono, invece, più vivi che mai ancora oggi. Chi, infatti, non ha drizzato le antenne di fronte a quell’esuberanza derivante dal perfetto equilibrio tra chitarroni ed elettronica? Chi non si è sentito travolgere da quelle melodie così irresistibili e capaci di piantarsi nella testa dopo mezzo ascolto? Chi non ha sentito le ginocchia che tremavano di fronte al carisma estetico e vocale di Shirley Manson? Chi non si è sentito intimamente coinvolto dai suoi testi, così capaci di mescolare alto profilo e intensità emotiva?

E per chi non si limitava a vivere la propria vita tra le mura domestiche, ci sono altri aspetti che indubbiamente hanno segnato quegli anni, e qui devo ammettere che molti di essi sono legati a un solo brano, e sto ovviamente parlando di “I Think I’m Paranoid”. Ballatissima in tutti i rock club del mondo, e allora eano veramente tanti, e altrettanto cantata quando si viaggiava in auto in compagnia, con l’immancabile head banging collettivo e gli sguardi complici tra amici che se ne stavano on the road anche per la sola voglia di evadere dalla realtà. Vogliamo poi parlare della data italiana a supporto del disco, ovvero l’apparizione al mega festival di Imola, con Shirley che dice dal palco “li riconosco tutti i nostri fan, uno per uno” e l’effetto speciale naturale della pioggia che inizia con “Only Happy When It Rains” e dura solo per lo spazio di quelle canzone? Cosa posso dire io a chi ha vissuto con me queste cose? Niente, non posso dire niente, magari dovrei postare una mia foto che cerca sguardi d’intesa, invece di questo articolo, e ci si capirebbe tutti quanti al volo.

Magari, però, tra i lettori c’è qualcuno che all’epoca era troppo giovane per ricordare, o non era nemmeno nato, e si interessa alla storia della musica. A queste persone illuminate faccio intanto i miei più vivi complimenti, e poi dico che non possono pensare di conoscere il 1998 musicale senza ascoltare questo disco. In esso, infatti, ci sono tutti gli elementi che rendono un album capace di lasciare un segno profondo: personalità, ambizione, e poi gli aspetti a cui ho accennato sopra, ovvero l’esuberanza, la capacità di travolgere, ma anche di far riflettere, di far aprire la mente sull’importanza del rispetto e della comprensione di modi di essere e di pensare diversi dal nostro, su quanto ci si arricchisca confrontando sci invece che rimanere chiusi in un bolla. Shirley ci parla in modo sfrontato, ma è in grado di farsi ascoltare, e così fanno Butch Vig e Steve Marker con la parte musicale, intesa sia come scrittura delle melodie che come produzione. Si potrebbero leggere i testi da soli e si avrebbe l’effetto che descrivo qui sopra, ma lo stesso potrebbe eventualmente succedere se si potessero ascoltare le canzoni senza le parole. Per fortuna, la cosa più naturale che si possa fare è avere tutte e due le cose insieme, e il risultato è letteralmente esplosivo.

In conclusione, chi non c’era per motivi anagrafici, deve assolutamente recuperare questo capolavoro, e per tutti gli altri, fate conto che io abbia lanciato attorno a mew il mio sguardo, desideroso di incrociare occhi complici, che tanto lo so che ci siete, e che ci siamo capiti senza bisogno di ulteriori discorsi.

Pubblicazione: 11 maggio 1998
Durata: 49:34
Dischi: 1
Tracce: 12
Genere: Rock alternativo, elettronica
Etichetta: Mushroom Records
Produttore: Garbage

Tracklist:

Temptation Waits
I Think I’m Paranoid
When I grow up
Medication
Special
Hammering in my head
Push It
The trick is to keep breathing
Dumb
Sleep together
Wicked ways
You Look So Fine