Più dello smisurato senso dell’umorismo, più del desiderio di riscoprire le radici dell’hard rock e più delle indubbie capacità tecniche dei fratelli chitarristi Justin e Dan Hawkins furono le semplici canzoni a far la fortuna dei Darkness di “Permission To Land”, album di debutto della band britannica pubblicato il 7 luglio 2003.

Il disco fu un best seller totalmente inaspettato. Un salto fuori dal tempo schiacciato tra la fine dell’era nu metal e l’inizio di quel fenomeno sviluppatosi sulla scia degli Strokes che, in maniera assai generica, potrebbe venir etichettato con l’ossimorica espressione di indie rock commerciale. Eppure riuscì a vendere milioni di copie in tutto il mondo, a raggiungere la prima posizione della classifica inglese e persino a conquistare il premio per la miglior uscita dell’anno ai Brit Award – un riconoscimento prestigiosissimo assegnato, nel corso degli anni ’90, a band del calibro di Blur, Oasis, Manic Street Preachers e The Verve.

Tutti campioni del britpop con cui i Darkness avevano poco o nulla in comune a parte la terra di nascita e la passione per le chitarre elettriche. I fratelli Hawkins se ne innamorarono da giovanissimi, ascoltando i dischi delle più celebri band hard rock e heavy metal degli anni ’70 e ’80 (Queen, Thin Lizzy, AC/DC, Def Leppard, Aerosmith, Van Halen…). Nomi di un certo peso la cui influenza appare evidente nelle dieci canzoni di “Permission To Land”.

Con punti di riferimento come Brian May e Phil Lynott, i Darkness si presentarono al mondo con un album già “vecchio” per i gusti del pubblico medio del 2003. Ciononostante riuscirono nel miracolo di riportare in auge il rock più genuino e sanguigno con una sfilza di brani semplicemente irresistibili, dal forte retrogusto glam/pop anche se legatissimi agli stilemi hard & heavy. Una ricetta facile ma efficace: riff, assoli, ritornelli super-orecchiabili e un mare di simpatia disseminata in pezzi di pura energia e power ballad romanticone ma mai stucchevoli.

Fu il talento dei Darkness nel ridere di loro stessi e degli aspetti più esagerati del mondo hard rock ad attrarre l’attenzione di migliaia e migliaia di fan sparsi per tutto il globo terracqueo. Dopo gli anni tenebrosi e aggressivi del grunge prima e del nu metal poi, tornava finalmente alla ribalta la “leggerezza” tipica degli anni ’80, scevra però di quelle spacconerie o esibizioni di virilità che tanto spesso avevano caratterizzato un certo glam/hair metal.

I Darkness di “Permission To Land” non furono degli smargiassi ma degli amabili cazzoni. Divertenti, irriverenti ma a loro modo serissimi; fieri difensori di un genere che per una manciata di mesi, in quel lontano 2003, tornò a occupare il centro del palcoscenico, dopo anni e anni trascorsi fuori dalle scene.

Il look alla Spinal Tap era un po’ troppo ridicolo? E Justin Hawkins andava sopra le righe col suo pazzesco ma onnipresente falsetto? Domande che ormai lasciano il tempo che trovano. Oggi restano i bei ricordi legati a un disco che ha permesso a tanti e tanti adolescenti di avvicinarsi al fantastico mondo dell’hard rock.

Per quanto riguarda il genere in questione, “Permission To Land” resta purtroppo l’ultima opera realmente rilevante a livello commerciale. Un traguardo triste ma importante, guadagnato con la potenza di tante hit scalaclassifiche (“Growing On Me”, “Love Is Only A Feeling”, “Friday Night”, “Get Your Hands Off My Woman” e naturalmente la più celebre di tutte, “I Believe In A Thing Called”) e una serie di brani meno famosi ma ugualmente notevoli (“Black Shuck”, “Stuck In A Rut”, “Love On The Rocks With No Ice”, “Givin’ Up” e “Holding My Own”).

Data di pubblicazione: 7 luglio 2003
Tracce: 10
Lunghezza: 38:09
Etichetta: Atlantic
Produttore: Pedro Ferreira
Tracklist:

Black Shuck
Get Your Hands Off My Woman
Growing On Me
I Believe In A Thing Called Love
Love Is Only A Feeling
Givin’ Up
Stuck In A Rut
Friday Night
Love On The Rocks With No Ice
Holding My Own