Non è mai facile scrivere di Marilyn Manson. E non (solo) per le vicende che lo hanno visto protagonista negli ultimi anni, ma per tutto l’immaginario che lo ha sempre contraddistinto e che ancora oggi gravita intorno alla figura dell’artista dell’Ohio. Sul finire dello scorso millennio, però, “Il Reverendo” era ancora impegnato nel suo assalto al mainstream, messo su a colpi di glam e di industrial. A quei tempi l’enigmatico singer era sì una sorta di creatura misteriosa, ma ben focalizzato sul cammino da intraprendere per riuscire ad entrare nelle grazie del firmamento musicale. Lasciatosi alle spalle l’ombra lunghissima di Trent Reznor dei Nine Inch Nails e dopo aver preso ancor più coscienza delle proprie capacità compositive, il 15 settembre di venticinque anni fa, Marilyn Manson mostrava al mondo la sua opera terza, quel “Mechanical Animals” che, per certi versi, ha cambiato le regole del gioco. O, almeno, quelle della prima parte di percorso del vecchio Marilyn.

Fortemente ispirato dal Bowie di “Ziggy Stardust”, in “Mechanical Animals” Manson dà vita ad una specie di bipolarismo artistico, trasformandosi dapprima in una rockstar aliena e strafatta (Omega), completamente in balia dello star system e dei soliti cliché, mentre, successivamente, lascia prendere il sopravvento alla parte più vulnerabile di sé, ricoprendo il ruolo del rocker empatico e razionale (Alpha). Musicalmente, ne esce fuori un lavoro godibilissimo, ben confezionato dalla supervisione di Michael Beinhorn (Red Hot Chili Peppers, Soundgarden) e di Sean Beavan (Nine Inch Nails, Guns N’Roses). “Mechanical Animals”, infatti, è un concentrato di glam-rock fatto alla maniera di Manson: pomposo, ridondante, quasi barocco, ma dannatamente fluido ed efficace.

Del resto, “The Dope Show”, primo singolo estratto, sta lì a dimostrarlo. Scritto dallo stesso Manson con la collaborazione di Twiggy Ramirez, ancora oggi il brano è uno dei più amati (ed ascoltati) dell’intero repertorio del cantante americano. In “I Don’t Like The Drugs (But The Drugs Like Me)”, invece, l’assolo di Dave Navarro brilla di luce propria ed è accattivante come un giro negli Anni Novanta fatto attraverso una DeLorean trovata per caso in qualche angolo dell’universo. È il coraggio di sovvertire gli schemi il filo conduttore dell’album. Prendete un pezzo come “I Want To Disappear”. Basso e chitarra, nella loro semplicità, convivono (perfettamente) in una tiratissima danza macabra ai confini dell’hard-rock, donando forma e sostanza ad una delle tracce più interessanti del disco.

“Mechanical Animals” è la rivoluzione di Marilyn Manson. Il poster d’intenti da appendere al muro dei suoi detrattori. Si tratta di un lavoro sincero, coerente, visionario, che ancora oggi, a distanza di venticinque anni, suona maledettamente attuale. E poco importa se “Rock Is Dead” viene ricordata più per la sua comparsata nei titoli di coda di quel capolavoro di “Matrix”, che per la sua magnifica sfarzosità. L’inferno sonoro di Marilyn Manson era appena iniziato.

Pubblicazione: 15 Settembre 1998
Durata: 62:30
Dischi: 1
Tracce: 14
Genere: glam-rock, industrial metal, hard rock, alternative metal
Etichetta: Nothing, Interscope
Produttore: Michael Benhorn, Sean Beavan, Marilyn Manson

Tracklist:

  1. Great Big White World
  2. The Dope Show
  3. Mechanical Animals
  4. Rock Is Dead
  5. Disassociative
  6. The Speed Of Pain
  7. Posthuman
  8. I Want To Disappear
  9. I Don’t Like The Drugs (But The Drugs Like Me)
  10. New Model No. 15
  11. User Friendly
  12. Fundamentally Loathsome
  13. The Last Day On Earth
  14. Coma White