Tornano a farsi sentire anche i Teenage Fanclub, esattamente due anni dopo l’ultimo lavoro in studio, ovvero “Endless Arcade” uscito nel 2021, quindi questo tredicesimo album in carriera “Nothing Lasts Forever” è anche il secondo dopo la dipartita di Gerard Love.

Credit: Donald Milne

Band a cui è difficile chiedere di più dopo i dischi storici, che hanno segnato una generazione e che sono ancora oggi un punto di riferimento inequivocabile, basti pensare a “Bandwagonesque”, piuttosto che “Thirteen” o lo stesso “Grand Prix”.

Diciamo che, inevitabilmente, non esiste da tempo l’effetto sorpresa e le scelte in fase di produzione, com’è giusto che sia, sono fedeli alla linea e convenzionali, ma al tempo stesso prive di sussulti, quindi, a questo punto, andando per esclusione, o, in qualche modo, per degli autentici fuoriclasse del genere, arriva il guizzo di una tracklist fuori categoria, o c’è l’inevitabile rischio di cadere nel baratro della ripetizione, che, capita sovente sia chiaro per gran parte degli artisti, ma che viene aggirata in qualche modo, quando e se le canzoni salgono in cattedra per fare la differenza, almeno sopra la media.

Alla fine i Teenage fanno esattamente questo: canzoni nel senso più classico del termine

In questo nuovo album credo ci siano riusciti o almeno parzialmente, ovviamente difficile raggiungere i loro massimi livelli, anche se “Nothing Lasts Forever” si lascia ascoltare con piacere, alla fine abbiamo sempre a che fare con artisti veri, appassionati, sicuramente l’assenza di Gerrard si fa sentire, ma trovo sia, almeno parzialmente, attutita dall’arrivo di Euros Child (per il sottoscritto tra i tre songwriter più incompresi di sempre, un genio assoluto della melodia).

Probabilmente è anche un disco ancora interlocutorio, dovuto ad una sorta di fase di riassestamento, e credo che non ci saranno pezzi che potrebbero mettere radici nella classica tracklist da best of, è vero anche che le carriere molto lunghe seguano, in sé, un percorso altalenante, quindi che possa, in futuro, ricrearsi un’alchimia come nei succitati masterpiece, non è dato saperlo, ma non è da escludere a priori.

Per non citare poi il problema che hanno (avercene) i primi della classe, ovvero le aspettative che si generano nel fan medio, sempre, inevitabilmente, altissime.

Sicuramente in ottica live e in ottima compagnia, questi brani voleranno più alto ancora, penso al singolo apripista di “Foreign Land”, o la successiva e riflessiva “Tired Of Being Alone”, forse il brano migliore del lotto, la leggerezza di “I left a light on” o la stessa e conclusiva “I Will love you”, sofferta ballad agrodolce che tocca i sette minuti, riflessiva e ben congegnata.

Nel complesso un lavoro che mi ha fatto piacere approfondire, che non escludo possa crescere ancora con gli ascolti.