Un’ipotesi di session pomeridiane accumunate dall’imprevedibilità, dalla sperimentazione, dal fattore X: questa la genesi più probabile alla base del terzo disco della band, se così possiamo definirla, ora ridotta a 3 elementi in pianta stabile, con la nostra Valentina Magaletti alla batteria e percussioni, la voce altera di Cathy Lucas e il basso alla Japan di Susumu Mukai.

Credit: Arthur Sajas

Ne esce un album decisamente più focalizzato, se con questo si intende non tanto la direzione, che questa per fortuna spazia e mira all’infinito tortuoso, quanto nell’approccio, più mirato, che vede le singole parti porsi in modo strutturato, con precisi compiti proprio per carpire e rendere al meglio il suono così speciale dei Vanishing Twin.

“Afternoon X” per questo ne esce come forse la cosa più raffinata e al tempo stesso sperimentale fin qui prodotta, con canzoni a blocchi stagni, uniche nella loro originalità, che si integrano a collage come suggerito dall’effetto copertina, in un progetto ad alto contenuto artistico, dove l’aspetto musicale trascende l’armonico, tranne il solito costante fedele e sicuro binario degli Stereolab, ma con un più deciso spostamento all’inseguimento dell’aspetto onirico e visionario.

Si sguazza fra visioni sghembe (“Melty”) con la classica distonia fra melodia vocale e sottobosco melodico, con una prassi che a volte sfiora i primi Blonde Redhead con quel piacere da nouvelle vague in acido, mentre altrove ci si addentra nel torbido con suggestioni cinematiche che sarebbero piaciute al Ferreri più grottesco, in cui la realtà viene ribaltata in un gioco imperfetto di sovrapposizioni distorte, come succede anche qui specie negli ultimi due brani dove il delirio è assicurato.

Album da tenere sempre a disposizione e ben riposto nei meandri della nostra memoria, come rifugio laterale nei momenti in cui è più forte la necessità di evasione dalla conformità dei suoni di tutti i giorni.