Non c’è volontà di riproporre la stessa musica. Non c’è volontà di giocare pulito. Non c’è assolutamente voglia di essere gli stessi. I Bombay Bicycle Club ci portano dentro il loro nuovo modo di fare musica, un grande giorno per esplorare nuovi territori.

Credit: Tom Oxley

Qualche settimana fa, in un lunedì assolato milanese, mi apprestavo a fare una chiacchierata con il batterista della band Suren per parlare di quello che secondo me è il filone di questo nuovo album. Di ecletticità e sperimentalismo, di passato e futuro e di come non ci si deve mai prendere sul serio. Il nuovo disco dei Bombay è proprio un mix di questo, un passato che li ha portati al successo e la loro volontà di non cadere negli errori commessi, continuando quindi a proporre sempre qualcosa di innovativo.

In “My Big Day” ritroviamo un concetto principale: il divertimento. Non c’è un concept alla base di queste nuove canzoni, l’obiettivo principale della band era quella di divertirsi. Infatti, non solo a livello musicale troviamo un salto in più dal punto di vista di produzione, ma anche una folta presenza di artisti guidati da Damon Albarn e Chaka Khan. Questa voglia di uscire dagli schemi, un’ulteriore volta, è molto presente in quasi tutti i brani. Ballad comprese.

Questo grande giorno porta con sé tutto il meglio del gruppo, in un nuovo mix ben bilanciato tra i brani che ci fa riassaporare quello che sono stati e quello che saranno nei prossimi anni. Il passo avanti l’hanno fatto grazie alle mille influenze di ogni singolo componente, in primis il frontman Jack, che sono state inserite dentro ogni produzione. Se pensiamo alla traccia d’apertura, “Just A Little More Time”, risentiamo la musica medio orientale in un contesto moderno e più elettronico; in “I Want To Be Your Only Pet” ci sono gli Stooges ed il Garage Rock (tanto amato da Suren) in una chiave tutta particolare e cringe che fa parte del loro essere; nel brano transizione “Rural Radio Predicts The Future”, ovvero la novità di questo disco, troviamo le trombe da colonna sonora cinematografica che aprono poi ad una base elettronica dance, con accenni al groove, che poi va ad esplodere in synth mai sentiti nello stesso repertorio. Anche loro, adesso, hanno la loro “Fitter Happier”.

Sono molto interessanti i featuring, in primis quello presente in “Heaven”. Damon Albarn in questo brano c’è tutto, sia come solista sia come frontman de Blur, e la fusione che ne proviene è alquanto incredibile. Non solo naturale, ma proprio ben congeniata a livello di produzione. Basti pensare a queste elettriche che risuonano nel ritornello e sono tutto Bombay, ma accompagnate a delle trombe che sono tutto Albarn. Ma non solo. “Sleepless” con Jay Som è una bellissima ballad che racchiude perfettamente le due realtà nel brano: la delicatezza vocale della cantante viene riproposta in chiave strumentale da una batteria dolce e qualche flauto qua e là sparso. “Meditate” è un altro featuring che non si deve assolutamente scordare: delle chitarre così graffianti, ma comunque dal suono pulito; la voce di Jack che si confonde con quella di Nilüfer Yanya prima di dare il via ad un riff che ci ricorda tantissimo gli esordi del gruppo. Dopo averla convinta e dopo averla tenuta nascosta fino alla fine, ad una settimana dall’uscita del disco, Chaka Khan è la grande sorpresa dell’ultimo momento. In “Tekken 2” ci ritroviamo nel pop puro americano, quasi hip-hop di tantissimi anni fa, dall’incredibile sapore anni ottanta dato dall’incredibile voce della cantante che esplode verso la fine del pezzo.

L’ultima traccia è, a parer mio, un grande tuffo nel passato. Un tuffo nel passato a quando questi ragazzi erano solo ragazzi che volevano suonare la loro musica parlando dei loro problemi, della loro generazione. Facendo casino, con il pubblico, tra di loro, con chiunque. “Onward” è la fine perfetta a questo capolavoro di album. La voce profonda, ma dai toni acuti di Jack; l’acustica e l’elettrica sempre fuse; il crescendo della batteria fino alla grande esplosione; le distorsioni; la voglia di spaccare tutto fino al riff totalmente indie-rock che li ha segnati fin dall’inizio.

Il “My Big Day” dei Bombay Bicycle Club è una grande prova di ecletticità e sperimentalismo. Loro sono capaci di fare tutto, di farlo alla vecchia maniera e alla nuova maniera, di predirti il futuro su chi saranno e dove vorranno andare. Loro sono bravi nel prenderti quel suono, quella cultura che li ha tanto influenzati, ed infilartelo dentro fino in fondo alla produzione di un brano. Sono cresciuti accompagnando un’intera generazione di loro coetanei, ma ora la storia è cambiata e anche loro si sono buttati ad esplorare nuovi territori che li ha portati, inevitabilmente, alla creazione di un album sintomo di una grande maturità artistica raggiunta.