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Li abbiamo visti in tutte le salse: con i mano chitarre dal suono indie-rock giovanile; con la consapevolezza di un’intimità profonda e acustica fino alla ricercatezza di un suono diverso dagli altri. Poi la pausa, l’annuncio del tanto atteso ritorno e ora il grande giorno: “My Big Day” è il nuovo album dei Bombay Bicycle Club in uscita per Awal e noi di IFB, per l’occasione, non ci siamo fatti sfuggire l’opportunità di fare due chiacchiere con Suren, a rango di batterista della band, per parlare di ecletticità e sperimentalismo musicale.

Ciao Suren, come stai intanto? Grazie per il tuo tempo. Dove ti trovi in questo momento?
Ciao! Tutto bene e grazie a te per l’invito! Al momento mi trovo a Londra, siamo stati un attimo in giro per la promozione dell’album ma siamo tornati di nuovo qui per il momento.

Ecco allora partiamo proprio da questo, dal vostro nuovo album “My Big Day”: da dove siete partiti e che cosa vi ha portato a produrre un album così variegato dal punto di vista musicale?
Ci siamo subito concentrati sulla scrittura e la produzione delle basi poco dopo l’uscita dell’album precedente, “Everything Else Has Gone Wrong”, sia ritrovandoci negli studi di Londra sia in una casa di amici in Cornovaglia. Due ragazzi della band ora sono padri di famiglia, quindi la registrazione effettiva l’abbiamo poi fatta tutta qui nella capitale a cinque minuti da dove abito io. Molto comodo, direi. Effettivamente è un disco molto variegato, eclettico, come se fosse una sorta di grande collezione di tutti i nostri lavori precedenti: alcune canzoni sono molto focalizzate sulle chitarre, come il primo album, altre invece più vicine a “Flaws” con un’aggiunta di elementi elettronici delle nostre produzioni più recenti. Lo trovo un disco un po’ pazzo, quanto noi d’altronde. Ci sentiamo proprio eclettici, che saltiamo da un genere all’altro o semplicemente che creiamo qualcosa mai fatto nella nostra carriera come “Rural Radio Predicts The Rapture”. Una canzone che, qualche tempo fa, avremmo definito “non Bombay”. Solo che ora volevamo proprio divertirci.

Un’altra cosa molto interessante è che ci sono tantissimi featuring in questo disco, tra tutti quello con Damon Albarn. Com’è stato lavorare con lui? Vi ha in qualche modo influenzati a livello generale di band?
Damon è l’artista che abbiamo rincorso per tanto tempo e Jack è stato molto fortunato a conoscerlo e a lavorarci assieme in varie produzioni, l’ultima un’opera portata in scena a Parigi dove Jack ha assunto il ruolo di direttore delle musiche. Quindi sì, hanno una relazione che dura da tanto. Per questo album, è sempre stato il nostro frontman a mandare a Damon i demo delle canzoni per avere un’opinione e quando ha ascoltato “Heaven” ha pensato di dare un suo contributo. Trovare poi il tempo per registrarlo insieme è stata una bella sfida, visti i suoi tantissimi impegni. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta. E sicuramente ha avuto tantissima influenza su di noi.

Qual è il tuo featuring preferito?
Sono tutti belli, lo dico in modo molto diplomatico. Forse, tra tutti, quello che non abbiamo ancora annunciato. Quando esce l’intervista?

Sicuramente dopo che mi sveli questo segreto!
Allora già che ci siamo, se non sai chi è, si tratta di Chaka Khan. Le abbiamo mandato dei messaggi, sapendo che non ci avrebbe mai risposto. Ed invece, eccoci qui. Jack è volato a Los Angeles e ha pure girato il videoclip. Direi quindi questa collaborazione è la mia preferita, anche se mi piacciono tutte alla fine. Ci siamo sentiti onorati di avere tutti questi artisti nel nostro disco.

Inserite tanti strumenti diversi in ogni canzone, si sentono tantissime culture ed influenze. Cosa vi porta ad essere sempre un passo avanti agli altri in termini di composizione?
Tra le tante motivazioni, credo sia perché ognuno nella band viene da un background musicale differente. Io, per esempio, provengo dal mondo della classica in quanto mio padre è un musicista di musica classica. Mi ha insegnato a suonare il pianoforte poi sono passato alla batteria jazz poiché il mio insegnante era un jazzista puro. Jack ha avuto il mio stesso percorso, prima il jazz però e poi la musica classica, per poi aprirsi un po’ a tutto e questo sicuramente ci ha profondamente toccato ed influenzato. Per gli ultimi album è stato sempre Jack che, dopo giri in negozi di musica sparsi per il mondo, tornava con delle idee in testa ispirato da quello che trovava. Quindi sì, siamo diversi perché siamo in qualche modo composti così diversamente che uniti creiamo qualcosa di strano e non convenzionale.

Nell’ultima traccia del disco, “Onward”, con il riff nella parte finale sento tantissimo i Bombay del primo disco. Riguardando a quell’esordio, cambieresti qualcosa o rifaresti tutto di nuovo ugualmente?
Credo ci siano sempre cose che cambieresti. Si è molto critici nei confronti del proprio lavoro e, a posteriori, ti viene da dire “ma perché non abbiamo messo quell’elemento al posto di quell’altro etc.”. A volte addirittura ci si può chiedere il perché di quella determinata canzone nell’album. Però direi che a livello generale siamo stati abbastanza coerenti, a volte andando anche controcorrente come, per esempio, con il nostro secondo ed acustico album: per questo lavoro abbiamo dovuto convincere la nostra casa discografica a farlo uscire. Quest’ultimo caso però, ci ha portato bene perché dopo eravamo completamente liberi di fare quello che volevamo sapendo benissimo che nessuno avrebbe predetto cosa avremmo tirato fuori successivamente. Personalmente sì, cambierei qualcosa. Niente di importante. Per esempio, proprio nel primo album, abbiamo messo “The Hill” in una versione totalmente diversa da quella del nostro primo EP: ecco non la registrerei in quel modo, forse diversamente. Ma a parte questo, non cambierei molto. Sicuramente una cosa che avremmo potuto fare sarebbe stata quella di venirvi a trovare di più in Italia.

Come sono i Bombay in tour? Cosa ti piace dei vostri concerti dal vivo?
Personalmente sento un riavvicinamento ai miei elementi, questo sicuro mi piace del live. Andare in tour ora è diverso da quando eravamo giovani, è meno feste e più andare a dormire presto. E come ti dicevo, due della band hanno famiglia e si cerca quindi di bilanciare bene i momenti via e i momenti casalinghi. Quello che, a livello di band, ci piace tanto e ci emoziona degli spettacoli live è la reazione del pubblico ai pezzi ed il loro entusiasmo che ci trasmettono e che ci infondono.

Qual è, in questo momento, l’artista o la band che ti piace di più e con cui vorresti nel caso collaborare?
In questo momento sto ascoltando molto un collettivo di artisti, Sault, creato da questo musicista e produttore che si chiama Inflo. Li ho scoperti qualche mese fa e non riesco a smettere: hanno tantissimo soul nelle produzioni, un groove molto interessante. Ecco, loro sarebbero la mia scelta al momento.

Ultima domanda, poi se vuoi ne ho una bonus. Raccontami qualcosa dei Bombay Bicycle Club che nessuno conosce
Io ho questa divertente abitudine di riprodurre un ronzio quando suono la batteria e anche quando registriamo. Un ronzio che riproduce non la melodia della canzone che stiamo suonando, ma una mia personale. Se isoli solo la batteria sentirai il sottoscritto fare dei versi che non c’entrano niente. Fallo e non te ne pentirai.

Ok, abbiamo tempo e andiamo con la domanda bonus. “Rural Radio Predicts The Rapture”  è un brano assurdo, solo strumentale, che sembra una versione dance di un brano elettronico dei Radiohead. Come ci siete arrivati a fare una transizione tra “Meditate” e “Heaven”?
Quella canzone è il frutto del puro sperimentalismo in studio di Jack. Ci sono tantissime canzoni nel disco che rimandano ai suoi progetti solisti di quando eravamo in pausa. In quel momento, mentre buttava giù la base della canzone, si stava divertendo tantissimo. Non era pensata per il disco, ma quando l’abbiamo ascoltata eravamo tutti stupiti e ci siamo detti che avremmo trovato un modo per inserirla all’interno dell’album. Alla fine ci siamo riusciti e, per me, è un mix tra la trap e il UK garage del quale sono molto fan. Come canzone è un po’ difficile da rendere bene live, ma vedremo se riusciremo a suonarla sul palco.

Con l’invito a ribeccarci alla loro data unica all’Alcatraz di Milano, il 16 novembre, ho voluto terminare la nostra chiacchierata con la promessa che avrei comprato (perché sì, ci sarà) allo stand del merchandising la loro Bald-Point pen. Perché anche quest’ultima trovata di marketing, per quanto strana possa sembrare, è caratterizzata da ecletticità fuori dagli schemi.