Bisognerebbe essere palesemente degli irresponsabili nell’azzardare segnali di stanca ripetitività quando si parla dei Goat, dei repressi reazionari nel giudicare datata questa musica, fosse solo per il fatto che mentre la realtà intorno a noi sta collassando dentro derive ideologiche che non hanno niente di contemporaneo, questi seducenti hippies della decantata e fantomatica località sconosciuta svedese, arrivano a ricordarci come le nostre difficoltà, le ansie, i timori del presente potrebbero essere annullate dalla medicina dell’unione dei corpi, da una nuova rivoluzionaria visione delle relazioni sociali, da una comune voglia di convivenza che questa musica dovrebbe permettere di estendere in modo esponenziale.

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“Medicine” ribadisce a breve distanza dal precedente “Oh Death” la beata solita impostazione di spostamento verso quell’aurea zona a cavallo fra 60 e 70 dove il prog, il flower power, la psichedelia grezza, intrisa di sciamanesimo fungeva da cornice vera e desiderata di un rinnovamanteo (contro)culturale in cui riconoscersi e in cui certamente le dosi di espansione indotta da sostanze erano la base di questa solida credenza: in questa forma di transfert i Goat ancora una volta sono magistrali senza mai annoiare, in questo album ancora più riuscito, forse per la sua maggiore compattezza vista la durata non proprio da jam, alternando le convincenti ballate lisergiche come l’iniziale “Impermanence And Death” o “Vakna con momenti in cui ci sono leggeri scostamenti dal passato verso una forma più compiuta di psichedelia autoriale come nella suadente ” TSOD” che fa il verso al miglior The Brian Jonestown Massacre; altrove invece c’è uno scavallamento addirittura verso territori doom alla Sleep, che tengono insieme una canzone variopinta come “Join The Resistance” che passa dal folk bucolico a colate di riff pesantissime.

“Medicine” pertanto conquista per il suo immutato senso di libertà che emana, con l’appagamento verso qualcosa di remoto che trova in questi suoni spunti per identificare un sentimento di possibile anche per il futuro, fosse solo uno scatto umorale, una nuova visione delle cose che queste note sono preposte a dare, e poi chissà forse un giorno anche noi ci metteremo a ballare mascherati, anche senza andare nel freddo polare svedese.