Credit: Fabio Campetti

La giornata di oggi prevede il ritorno dei Superchunk dopo tanti anni, l’evergreen Robyn Hitchcock e il dichiarato ultimo live di Kid Congo, quindi il nuovo progetto di Massimo Pupillo degli Zu insieme a Cinder Sharp, come tutta una serie di ospiti italiani nel primo pomeriggio, dai Bee Bee Sea, punta di diamante dell’ottima label Wild Honey Records, ai Liquami, gli storici CUT e i System Exclusive.

La nostra seconda giornata di festival inizia un pò in ritardo, ma giusto in tempo per assistere a l’assurda (In senso positivo) dei Becoming Animal, progetto sperimentale, tra drone music e una certa wave oscura di matrice gotica, industrial. Suonano una quarantina di minuti di trame oscure, tra ululati e luci basse, con una Cinder Sharp indemoniata.

Musica da scelte estreme, non per tutti chiaramente, ma che regala un sapore diverso.

Subito dopo, sullo stage B, ci pensano i Movie Star Junkies a pettinarci le orecchie con volumi esorbitanti, fanno un set rasoiata, senza pause, da girone dantesco, il blues rock, il punk e l’indie rock suonato alla massima potenza, sono tutti lì ad applaudire la band torinese, che fa un gran concerto. Ne ho sempre sentito parlare bene, per mea culpa, mai approfonditi. A sensazione credo che la dimensione live, sia l’asso della manica.

Nel frattempo si è preparato sul main stage Kid Congo, nella sua ennesima reincarnazione (da un pò di tempo a questa parte a dire la verità), come Kid Congo and The Pink Monkey Birds: si dice sia l’ultimo tour, una sorta di saluto dopo tanti anni di militanza, a partire dai Cramps o dai seminali Gun Club, o la stessa decennale presenza nei Bad Seeds di Nick Cave, una vera icona dell’underground mondiale, una carriera lunga e inattaccabile per un percorso di grande qualità, che l’ha visto diverse volte anche nel nostro paese, Suona diversi brani, circa 50 minuti di punk, garage, divertente e scanzonato.

Credit: Fabio Campetti

Finito Kid Congo, ci si sposta tutti sullo stage B, dove Sir Robyn Hitchcock fa un set di quelli da ricordare, con tutta la calma possibile, lui, in solitaria, abbracciando una chitarra acustica, mette in fila tutta una serie di brani storici della sua lunga carriera, musicista d’altri tempi, che non finirebbe mai di suonare, tant’è che senza rendersene conto va ben oltre il timing dedicato. Canzoni bellissime come la storica “I Often Dream Of Trains”, o “Glass Hotel”, passando per “I Wanna Destroy You” dei The Soft Boys. Gentiluomo leggendario.

Chiudono questa due giorni bolognese, i Superchunk, forse il gruppo più atteso dell’intera line up, se non altro per l’assenza dal suolo italiano, che durava da oltre vent’anni: sono passati davvero poche volte, se non pochissime, sono in tour in Europa, quindi, fortuna vuole, che abbiano sfatato il tabù Italia; c’è uno zoccolo di fan ad attenderli.

Fanno un set pazzesco, da veri punk rocker, senza un attimo di respiro, attaccano subito dopo Hitchcock, quindi senza l’abituale pausa di 10 minuti e mettono insieme sedici canzoni senza un attimo di respiro, chitarre e drumming tiratissimi e le melodie agrodolci, solari e malinconiche, quasi emo, di Mac McCaughan, che ci fanno capire, come molti dei lavori a nome Superchunk siano ancora oggi un punto di riferimento del genere: ci sono le canzoni, che dopo un sacco di tempo suonano ancora fresche.

Setlist piuttosto lunga e variegata, rigorosamente senza bis, su tutte l’iniziale “United”, “Detroit Has A Skyline” o la storica “The First Part”, chiudono per le 23,45.

Il loro è, appunto, l’ultimo act in programma, di un festival coraggioso e colmo di proposte, non sarà stato tutto perfetto, come, del resto, sono, spesso, le prime volte, ma una line up così ricca e variegata, non capita tutti i giorni di vederla offerta.

Quindi annoveriamo tutti i complimenti del caso.