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Gran bell’esordio per il toscano, Eugenio Sournia. Il mini album omonimo dell’ex cantante dei Siberia, infatti, è un’opera intrisa di un cantautorato originale e per nulla fine a sé stesso, capace di non scivolare mai nei territori scialbi della musica usa e getta. Anzi. Le sei tracce scavano ben oltre la superficie, trasportando l’ascoltatore in una sorta di microcosmo sonoro, in cui l’estrema cura per gli arrangiamenti ed i (bei) giochi di parole sono lì a dimostrare tutto il talento di un artista che denota una certa urgenza compositiva sin dalla prima traccia del lotto. L’incedere epico e l’immaginario delle liriche, infatti, fanno di “Superwow” uno degli highlights del disco. Canzoni come spaccati di vita vissuta. Del resto, “Dignità”, primo singolo estratto dall’album, aveva già messo le cose in chiaro circa la direzione che l’ex componente dei Siberia avrebbe intrapreso nella sua nuova avventura musicale.

È musica d’autore quella di Eugenio Sournia. Anche quando ci si imbatte nella melodia piuttosto scanzonata di “Scrivere” o nel sound “d’atmosfera” della splendida “Via Magenta”. “Il Cielo”, invece, è la degna conclusione di un disco che assomiglia maledettamente ad una raccolta di istantanee metaforiche su quelli che sono gli usi e i costumi di un’epoca quotidianamente in lotta contro i demoni della superficialità.
Era davvero inevitabile scambiare due chiacchiere con lui in merito a questo lavoro che, come avrete capito, apprezziamo moltissimo.

Ciao Eugenio, in primis permettimi di dirti che è un piacere averti con noi. Proviamo a partire subito in medias res: tu sei stato il cantante e l’autore della maggior parte dei brani della band dei Siberia. Com’è stato passare da una sfera creativa – che potremmo definire “di gruppo” – ad una più intima e personale come quella riguardante il tuo primo lavoro da solista? 
Innanzitutto vi saluto e ne approfitto per ricordarvi che sono stato e sono un vostro appassionato lettore.
Le differenze ci sono, anche se sicuramente il mio ruolo di autore di entrambi i progetti segna comunque una certa continuità tra le due esperienze. La differenza fondamentale è che nella mia esperienza solista tutto ciò che segue alla scrittura delle canzoni è comunque affar mio, e su di esso conservo la totale podestà; nella band, una volta realizzato il brano perdevo il diritto di dirigere i lavori per quanto riguardava l’arrangiamento, l’aspetto grafico, i video, la promozione…Senz’altro conservavo un diritto di parola, con il suo peso, ma in un’ultima analisi le decisioni sono sempre state collettive. Questo è stato uno dei motivi che inizialmente mi hanno portato a compiere la scelta di diventare solista, desideravo tra le altre cose un maggiore controllo di tutti quegli aspetti apparentemente “collaterali” che in realtà si rivelano spesso decisivi nell’influenzare la percezione degli ascoltatori. Solo in un secondo momento mi sono reso conto di quanto tutto questo potesse essere faticoso e frustrante; ma il senso di libertà è innegabile, e credo di aver compiuto la scelta giusta.

Per la realizzazione di questo tuo primo EP da solista, tra l’altro, sei stato coadiuvato – in fase di produzione – da Emma Nolde, giovane e talentuosa musicista, nonché autrice di uno degli album più interessanti dell’ultimo triennio, “Toccaterra”. Com’è stato lavorare con lei? Ritieni che la vostra collaborazione possa proseguire anche in futuro? 
Lavorare con Emma è stato in primis facile. È una persona di grande purezza, si approccia alla musica con la verve di chi ha una vocazione, non una passione. Tra le altre cose, ci completiamo molto bene per quanto riguarda l’aspetto della divisione del lavoro: io sono senz’altro più attratto dalla cura dei testi, lei da quella del suono. Veniamo certamente da ascolti piuttosto diversi, senza contare che lei ha nove anni meno di me; il rischio che si creasse un amalgama discontinuo c’era, ma credo sia stato evitato. Proprio per i motivi sopra citati, credo che sarebbe bello lavorare di nuovo insieme, siamo anche molto vicini umanamente; sarebbe bello anche fare un vero e proprio featuring.

Continuando a parlare dell’EP, i testi delle sei canzoni da cui è composto, appaiono impregnati di vita vissuta. Come nel caso di “Dignità”, primo singolo estratto. Quanto c’è di strettamente personale al suo interno? 
Durante la pandemia, spesso il mio equilibrio mentale veniva salvato da un bar, quello sotto casa, e dalle conversazioni con i proprietari e gli altri avventori, che nel tempo ho imparato a conoscere. Uno dei pochissimi aspetti positivi delle varie chiusure è stato proprio quello di averci permesso di riscoprire un certo senso di “prossimità”, di quartiere, che personalmente non avevo mai vissuto pur abitando in una città relativamente piccola come Livorno. Questo mi ha portato a interrogarmi su cosa significasse per me il concetto di comunità, su quante cose avessi in comune con le persone che vedevo tutti i giorni, e come l’aver ignorato questo concetto di “altro” nella mia musica, fino a quel momento, fosse stato un peccato.

Ascoltando brani quali “Superwow”, o la bellissima “Il Dolore E’ Una Porta”, è impossibile non rilevare una sorta di critica (neanche tanto velata) alla vacuità avvilente da cui è dominata la nostra società. Pensi che il compito di un artista sia quello di aprire gli occhi alle persone, o, più semplicemente, di constatarne le contraddizioni?  
Io credo che il compito di chi voglia in qualche modo provare ad essere un artista sia di dire la verità. Al mondo ci sono tante verità da dire, si può cominciare dicendo la verità su se stessi o guardando oltre il vetro. Spesso dire davvero quello che si pensa e si sente coincide con il mescolare i due piani. Ho sempre avuto una certa ritrosia verso la poesia e la canzone d’impegno, mi sono sempre sembrate a forte rischio di cadere nella retorica, nel voler fare la lezione al pubblico; tuttavia crescendo mi sono reso conto che non cimentarmi in questa sfida voleva dire limitarmi ad una scrittura eccessivamente autoreferenziale, quasi onanistica. Credo che se si mantiene un livello di onestà più assoluto possibile il pubblico se ne accorga, e finisca per accettare o quantomeno riflettere sulle verità che proviamo a narrare.

Il tuo “debut” avviene al fianco di una solida realtà come quella di Carosello Records. Com’è nato il vostro sodalizio? Saremmo anche curiosi di sapere se si tratta di un eventuale preludio ad un album vero e proprio… 
Non nego che la gestazione sia stata abbastanza lunga e complessa. Dopo la dipartita dal gruppo, ho attraversato un momento di forte depressione, legato sicuramente alle contingenze storiche ma anche alle mie vicende individuali. Solo dopo un certo periodo ho preso il coraggio e ho registrato autonomamente sei canzoni, che si sono rivelate decisive nel farmi notare da questa etichetta. Con Carosello sicuramente l’idea è quella di un percorso di respiro più ampio, e questo EP dovrebbe essere solo il primo passo; non nego che sto già scrivendo nuovi brani e che non veda l’ora di cimentarmi con la prova di un vero e proprio album.

Quali sono stati i tuoi punti di riferimento musicali durante la lavorazione dell’EP? “Scrivere”, per esempio, ha delle sonorità che richiamano ad un immaginario un po’ più internazionale… 
In un primo tempo la scrittura e l’arrangiamento che avevo in testa per questi brani dovevano ricalcare il più possibile uno dei miei grandi numi tutelari, vale a dire Nick Cave. Oltre alla sua scrittura di livello assoluto, sono sempre rimasto colpito dalla varietà delle soluzioni sonore a cui la sua penna e la sua voce si sono prestate nel corso dei decenni: dal post-punk alle ballate piano e voce, dal rock più sporco dei Grinderman ai suoni più elettronici e rarefatti dell’ultimo periodo. Con l’avvento alla produzione di Emma però un nuovo mondo si è sovrapposto a quello di cui ho parlato, maggiormente influenzato dal pop internazionale e da una visione della musica più basata sulle ritmiche. Credo che questa sovrapposizione abbia creato un sound tutto sommato coerente e di una certa varietà: mi fa piacere che in qualche modo le varie canzoni non si somiglino eccessivamente tra loro!

Ringraziandoti per la disponibilità, cogliamo l’occasione per un’ultimissima domanda: ritieni la parentesi con i Siberia definitivamente conclusa o mai dire mai?
Mi piacerebbe davvero molto lavorare nuovamente con i ragazzi in un’atmosfera da vera band: spesso nel nostro paese i gruppi musicali non sono altro che dei “solisti mascherati”, dove fondamentalmente l’unica vera differenza rispetto a chi si avvale di turnisti consiste in un diverso trattamento economico. I Siberia sono stati sicuramente una band per quanto riguarda le decisioni, che erano totalmente collettive, e l’attitudine; a livello artistico, probabilmente l’esserci affidati a un produttore importante come Federico Nardelli per il secondo e terzo disco ha un po’ annacquato l’importanza dei membri non autori, perché essi finivano per risultare poco coinvolti anche nell’arrangiamento. Sarebbe bello invece in un futuro ritrovarci e fare tutte queste cose davvero insieme, anche per differenziare il tutto ancora di più dall’esperienza solista (che, non lo nego, adesso rimane prioritaria).