1966, 17 Maggio, il primo cuore artificiale sta battendo in un essere umano, John Lennon dichiara che, oramai, i Beatles sono diventati più famosi di Gesù Cristo, mentre, nel frattempo, viene fondata la Chiesa di Satana e Mao inizia, solamente il giorno prima, quella che sarà nota come grande rivoluzione culturale proletaria, causando un numero immane di vittime che, ancora oggi, non può essere definito con assoluta certezza.

Credit: Press

Dylan sapeva benissimo che anche la sua musica faceva parte dello stesso, medesimo, meschino ed ipocrita carrozzone, quello di un mondo, ridotto ad un circo, che finge di non vedere le sue colpe e le sue omissioni e preferisce, come sempre, come avviene da secoli, puntare il dito altrove e, spesso, nella direzione sbagliata. Ed allora se la sua musica virò verso orizzonti più elettrici, rendendolo colpevole di tradimento, ingiuria e blasfemia ed identificandolo come il nuovo, redivivo e spregevole “Judas“, fu, probabilmente, anche perché il rock sembrava offrire una prospettiva critica, romantica e sociale più ampia, garantendo, contemporaneamente, la possibilità di costruire i propri spazi poetici fantasiosi, immaginifici, acidi e visionari.

Tutto ciò avvenne in una notte, la notte del celebre concerto alla Royal Albert Hall, da quel concerto rock, divenuto poi un leggendario bootleg, quel concerto che Cat Power riporta in vita, con una semplicità disarmante e con una sensibilità, toccante e profonda, nell’interpretare il passato, le medesime canzoni, la medesima scaletta, la medesima struttura – prima acustica e poi elettrica – dello show, dando vita a quello che è un vero e proprio atto d’amore verso l’uomo ed il poeta, verso l’imbroglione ed il buffone, verso il mito ed il giullare, verso la rock-star che affronta sé stessa, il proprio pubblico ed una serata turbolenta, ignaro del fatto che nulla, domani, potrà più essere più come prima.

Siamo creature feroci, profumiamo di peccato, bramiamo l’abbraccio delle masse, non importa se saremo Jesus o Judas, vogliamo solamente fottere il tempo, essere più forti del dolore, della vecchiaia, della malattia e persino della morte, ma, nonostante tutta la nostra assurda arroganza, il nostro veemente orgoglio, la nostra stupida illusione, non possiamo che emozionarci dinanzi alla struggente tenerezza di queste canzoni che, in fondo, parlano di uomini e donne che sono, esattamente, sole, fragili e volubili, come siamo noi.