Guardano al passato, i Tropea. Ma con gusto. “Serole”, il loro album d’esordio, non è altro che una (gradevole) raccolta di pezzi dove alcune sonorità più o meno Sixties s’incrociano con un sound dalle tinte un pò più moderne dando vita ad un mix che alla resa finale risulta tutt’altro che banale. Del resto, ne è passata di acqua sotto i ponti da quando – Pietro Lupo Selvini (voce), Domenico Finizio (chitarra), Lorenzo Pisoni (basso) e Claudio Damiano (batteria) – davano sfoggio delle loro (patinate) doti musicali in quel di X-Factor (2022).

Credit: Martina Garbin

“Serole”, dicevamo, è un disco in cui i Nostri sciorinano tutte quelle peculiarità che hanno reso i Tropea una delle band più interessanti della scena italica. Anche se al netto di alcuni accostamenti piuttosto ingombranti (Baustelle) e talvolta azzardati (Verdena). “Discoteca” – uno dei primi singoli estratti dall’album in questione – per esempio, si affaccia dalle parti del sound di fine Anni Settanta, trasportando l’ascoltatore in un universo fatto di appiccicosi refrain ed intriso di un’atmosfera decisamente “groovy”.

“Gallipoli” (uno dei primi singoli estratti dal progetto), invece, ha dei rimandi – neanche troppo velati – ad una musicalità di chiara matrice 2000’s ma con una spruzzatina di quella malinconia ancestrale tipica degli Ottanta che lo rende – senza ombra di dubbio, almeno per chi scrive – il brano più riuscito del lotto. Mentre nel ritornello sofisticato e ultra-(It)-pop di “Ti Amerei” sembra quasi di udire l’eco (non troppo) lontano dei Subsonica prima maniera.

“Serole”, in pratica, è un raccoglitore di tracce legate tra loro attraverso un unico filo conduttore che si sviluppa – a sua volta – in una serie di metaforiche (e colorate) scatole cinesi da cui estrarre, nota dopo nota, melodie appiccicose (per nulla pacchiane o fuoriluogo) come un chewing gum di inizio Anni Novanta e giammai fini a sé stesse. All’interno dell’opera prima dei Tropea c’è spazio pure per dei momenti un pò più intimi, riflessivi, come nei due brani cantati in inglese, “Sick” ed “All My Life”. “Ribellione” è un’altra (bella) ballad che non sfigurerebbe in un disco italiano dei primi Anni Duemila, pur mantenendo un retrogusto smaccatamente cantautorale e vicinissimo al pop-tricolore (radiofonico) dei giorni nostri.

Volendo provare a tirare le somme, dunque, il disco d’esordio dei Tropea ha ben poco di sorprendente o di rivoluzionario, ma si eleva ben oltre la sufficienza poichè dotato di due tra le caratteristiche fondamentali per un disco (che si rispetti) di questa prima metà di 20’s: vale a dire, accessibilità sonora e ricercatezza melodica. Dosate, tra l’altro, con sapiente maestria anche in fase di produzione.

Certo, non si tratterà di “Anima Latina” o di un capolavoro della PFM di metà Anni Settanta ma con “Serole”, Selvini e soci, hanno dimostrato di sapere il fatto loro in quanto a squintalate pop. E in questi tempi di magra creativa, più che di un deterrente si tratta di un punto a favore.