Su una cosa non ci sono dubbi: nelle dieci canzoni che compongono il loro quinto album, i Neck Deep suonano davvero a loro agio. Si punta sull’usato sicuro in un disco costruito con l’unico obiettivo di soddisfare i fan di lunga data, ovvero i giovani adulti cresciuti nel periodo del pop punk revival degli anni ’10. Diciamolo però con grande franchezza: se dopo poco più di un decennio di carriera già punti sul fattore nostalgia per ritrovare gli stimoli necessari per andare avanti, forse qualcosa nella macchina si è inceppata.

Credit: Nat Wood

L’energia delle chitarre elettriche, le influenze emo e l’appiccicume dei pompatissimi ritornelli sono una mera facciata. Dietro questa grande ostentazione di giovanilismo si respira aria di pigrizia e carenza di idea. Ben Barlow e compagni non sembrano aver la minima intenzione di uscire fuori dal seminato. La band gallese più californiana della storia della musica ci propone un sound pulito, leccato e bombastico modellato sull’esempio delle migliori produzioni di Fall Out Boy, New Found Glory e Blink 182. Punti di riferimento alquanto moderni ma neanche troppo, considerando il fatto che si tratta pur sempre di gruppi sulle scene da più di vent’anni.

Questo album non sembra aver alcun legame con i tempi odierni. Se fosse uscito quindici o dieci anni fa, nessuno avrebbe gridato alla rivoluzione. Il pop punk patinato e radio-friendly dei Neck Deep suona ancora molto fresco, potente ed eccitante ma non regala alcun tipo di vera emozione perché, dietro le belle apparenze e le buone intenzioni, si cela un vuoto di fantasia strisciante che quasi annulla i confini tra i diversi brani che, più o meno, suonano tutti assai simili.

I cinque di Wrexham non hanno alcuna intenzione di evolvere, anzi provano a fare un viaggio indietro nel tempo per ricollegarsi alle origini del genere da loro proposto: non il pop punk inteso in maniera tradizionale, ma proprio quel pop punk revival di cui ho scritto a inizio recensione. Non intendo dirlo con cattiveria, ma trattasi quindi dell’imitazione di un’imitazione. Della copia sbiadita di un prodotto per alcuni aspetti intrigante, ma privo di anima.

Un continuo riproporre di spunti rubati qua e là fa da cornice a un disco a tratti divertente ma tutto sommato dimenticabile, incapace di smuovere l’animo dell’ascoltatore nonostante l’attenzione certosina riservata alle melodie. Ma poco o nulla (salverei le sole “We Need More Bricks” e “It Won’t Be Like This Forever”) si fissa realmente in mente e l’album scorre via senza creare fastidi e in maniera alquanto anonima. Un disco che apprezzeranno solo ed esclusivamente gli inguaribili nostalgici del pop punk meno “antico” (se esistono).