“The Beauty And The Chaos” è il quinto album in studio degli EMF, la band britannica che negli anni ’90 ha fatto ballare il mondo intero con il suo dance rock potente e contagioso. Due anni dopo l’inattesa “resurrezione” con “Go Go Sapiens” e a più di tre decenni di distanza dalla pubblicazione del fortunatissimo “Schubert Dip” e della stratosferica hit “Unbelievable”, il gruppo di James Atkin torna in pista con un lavoro che prova a ricalcare la vecchia formula vincente ma non riesce ad aggiungere nulla di nuovo o sorprendente a un discorso che, con tutto il rispetto per gli interessati, poteva benissimo restare chiuso.

Credit: Simon Drake

I brani sono tutti vivaci e orecchiabili, come da tradizione degli EMF, e si lasciano ascoltare con piacere, ma non lasciano un segno indelebile. I cinque di Cinderford sembrano ancora divertirsi un mondo ma, purtroppo per loro, le idee fresche e originali sono chiaramente esaurite. La band si limita a riciclare le stesse chitarre, le stesse tastiere e gli stessi ritornelli; con l’unica differenza che, rispetto al passato remoto, il sound risulta essere un po’ annacquato e “povero”. Il risultato è un disco alquanto piatto e monotono, che non riesce a catturare l’attenzione dell’ascoltatore se non in una manciata di brani di sicuro impatto (“Hello People”, “Read The Room”, “Red Flags”).

Il problema principale di “The Beauty And The Chaos” sta nella scarsa modernità delle sonorità proposte dagli EMF, che appaiono ormai superate e anacronistiche. Il dance rock psichedelico e frizzante della band non ha saputo adeguarsi ai cambiamenti e alle evoluzioni della scena musicale, risultando un po’ antiquato e fuori luogo. In parole povere: gli anni ’90 appartengono ormai a un’era giurassica e gli EMF non sono altro che dei simpatici fossili.

Il disco soffre anche di scelte di produzione discutibili. Soprattutto per quanto riguarda il versante “elettrico”, che non ha la grinta e la potenza necessarie per sostenere le melodie. Chi ricorda la forza sonora di “Schubert Dip” capirà che un difetto del genere non può che rappresentare una difficoltà insormontabile per un gruppo come gli EMF, che hanno costruito le loro (poche) fortune sul connubio di enorme impatto tra rock e alternative dance. Le chitarre sono smorte e sommerse dal mixaggio, le batterie sono deboli e artificiali, i synth a volte risultano fastidiosi (“Reach For The Lasers”, “21st Century”) e la voce di James Atkin, seppur non sembri accusare il trascorrere del tempo, continua a essere debole e piena di imperfezioni.

All’epoca d’oro di “Unbelievabile” una piccola pecca del genere poteva benissimo passare in secondo piano. Ma quegli anni gloriosi sono alle spalle da un pezzo: gli EMF di oggi sono ancora padroni del loro mestiere ma hanno perso l’antichissima verve.