Ascoltatore indiesnob superficiale: carini questi qui, sembrano Bugo“…
Sachiel (visibilmente indispettito e parzialmente irritato) : Bugo? Ma daiiii, c’è qualcosa di più qui dentro, mi sembra un’affermazione semplicistica la tua.
Ascoltatore indiesnob superficiale (visibilmente contrariato per la parola “semplicistica”): e allora chi se non lui, non vedi l’umorismo caciarone che fanno questi ragazzi?

Sachiel già  sulla via di casa, senza voglia di parlare e con un desiderio irrefrenabile di ascoltare qualcosa di Rino Gaetano. Si perchè Bugo, a mio avviso, è troppo costruito, insomma, nell’eterno dilemma “ci è o ci fa?” io propenderei decisamente per la seconda ipotesi. I Carpacho hanno qualcosa in più, un tocco lievemente malinconico camuffato da una spiccata ironia e da arrangiamenti pop molto orecchiabili. “La Fuga Dei Cervelli” è un disco di grande appeal melodico, accenti twee, ritornelli che ti si appiccicano in testa per ore e soluzioni elettriche perfettamente in equilibrio tra Weezer e british pop alla The Divine Comedy. Se andate alla fine della recensione troverete tra gli artisti a loro affini il nome dei Quintorigo, e non ero ubriaco quando l’ho scritto, anche perchè astemio.

Semplicemente arrivati alle ultime due tracce, ci troviamo di fronte a due brani assolutamente trasversali e giocati su arrangiamenti che impennano all’improvviso per poi implodere e tornare ad una calma solo apparente. C’è anche qualcosa che non va, ma solo se siete anche voi degli ascoltatori superficiali come l’amico indiesnob di cui sopra, perchè al primo impatto potreste avere la sensazione di trovarvi di fronte all’ennesima e becera formazione pop italiana alla Velvet e affini. Sarebbe peccato mortale, perchè in queste tracce c’è del talento puro, ci sono ragazzi che stanno imparando ad utilizzarlo a dovere e ci sono pure le canzoni: “Maledetto Il Trucco”, ad esempio, è una ballata geniale giocata sulla sensazione del tempo che passa e che non torna più, il tutto in un tono ironico-amareggiato in cui riconoscersi fino all’ultima parola. Autoprodotto??? E’ questa l’assurdità  di un mercato discografico che perde il tempo a produrre immondizia e non si accorge di questi piccoli tesori sommersi che meriterebbero ben altri successi.