Dall’incontro tra il sassofonista statunitense James Brandon Lewis e i Messthetics, trio di Washington D.C. formato dal chitarrista Anthony Pirog e dalla leggendaria sezione ritmica dei Fugazi (il bassista Joe Lally e il batterista Brendan Canty), prende vita un album collaborativo audace e alquanto innovativo, capace di portare alla luce un tessuto musicale dove il jazz moderno si intreccia con l’alternative rock in una maniera che è allo stesso tempo fresca e familiare.

La maestria di Lewis al sax si fonde con l’approccio più istintivo ma sperimentale di Pirog, Lally e Canty, creando un dialogo strumentale che si sposta con naturalezza dal post-hardcore al jazz più essenziale e raffinato. Le tracce del disco sono frutto di jam sessions equilibrate, che esplorano il dinamismo del post-rock e la complessità della fusion senza mai perdere di vista l’accessibilità.

I Messthetics, pur non vantando le abilità spesso associate al genere jazz, compensano con un’energia creativa che trascende i confini tecnici, lasciandosi ispirare e guidare dalle idee. L’apporto di James Brandon Lewis, che invece ha una padronanza piena del linguaggio, eleva ulteriormente il progetto, conferendo profondità e direzione alle composizioni.

L’album è un dialogo creativo tra mondi musicali differenti che riescono a comunicare e a integrarsi in modo suggestivo e interessante. La fusione di jazz e alternative rock si manifesta in brani che, pur nascendo da improvvisazioni, trasmettono un chiaro desiderio di “strutturazione”, con melodie accattivanti e facilmente assimilabili. Tracce come “Emergence” e “That Thang”, tanto per fare un paio di esempi, offrono riff e frasi musicali sorprendentemente orecchiabili.

Essenzialmente il lavoro celebra in maniera sobria il piacere della sperimentazione tra generi e stili non solo diversi tra loro, ma apparentemente inconciliabili; si passa con disinvoltura dal jazz al post-rock, dal punk al progressive, dalla psichedelia al reggae. Il risultato è un’opera che si snoda tra umori cangianti e atmosfere discrepanti, alternando momenti di energia libera e vulcanica a pause più riflessive e notturne come evidenziato in “Boatly”, “Railroad Tracks Home” e “Asthenia”.

In conclusione, un album solido che potrebbe non fare impazzire i cultori della fusion dura e pura ma sicuramente renderà felici coloro che hanno apprezzato la precedente produzione dei Messthetics, ancora in ottima forma nonostante i cinque anni di pausa.