All’interno di “Field Theory”, il secondo album dei Melts, troviamo nove tracce di rock elettronico dal fortissimo retrogusto psichedelico. Il quartetto irlandese esplora in lungo e in largo il potenziale espressivo di un post-punk decisamente acido e sintetico in un’opera registrata dal vivo, in analogico, e prodotta da Daniel Fox dei connazionali Gilla Band.

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Il gruppo, pur non brillando di originalità e freschezza, sa come farsi intrigante e stimolante; nonostante una certa monotonia che aleggia sull’intero disco, i brani riescono spesso a essere coinvolgenti, forti di una potenza sonora che deriva dalla scelta felice di prediligere gli aspetti più grezzi ed energici del post-punk.

Tutto ruota attorno alle tastiere e ai sintetizzatori dal gusto vintage di Robbie Brady, che fa davvero un ottimo lavoro nel complesso e riesce – quasi da solo – a tenere a galla una collezione di canzoni non indimenticabili ma di grande impatto; i pezzi in generale non sono entusiasmanti ma si fanno apprezzare, soprattutto se siete fan dei ritmi motorik tipici del krautrock e delle atmosfere suggestive di uno space rock figlio degli anni ‘70. Un album interessante ma per nulla imperdibile.