STAGES
MOVISTAR STAGE: WE ARE SCIENTISTS, IAN BROWN, GRINDERMAN, INTERPOL, THE VERVE, PRIMAL SCREAM
WALKMAN STAGE: EL PETS, EDWYN COLLINS, WHITEY, BLONDIE, MAXIMO PARK, ETIENNE DE CRECY, 2MANYDJS
CONVERSE STAGE: EASY SNAP, PATRICE, ONE NIGHT ONLY, GLASVEGAS, CADENCE WEAPON, SONS & DAUGHTERS, THE JUAN MACLEAN, CORNELIUS, MR FLASH
LEVI’S STAGE: EL GUISANTE MAGICO, HIDROGENESSE, PLASTIDECOR DJS, XFM, PART OF THE WEEKEND NEVER DIES NME DJS, MIDNIGHT JUGGERNAUT, BUENAVISTA, GATO

Ian Brown che rifà  “Waterfall”, “Made of Stone” e “I Am The Resurrection” degli Stone Roses con l’altro ex Mani al basso; I Verve con un Richard Ashcroft in forma strepitosa che aprono con “This Is Music”, proseguono con “Life’s An Ocean” e chiudono con “Bitter Sweet Symphony”, seguita dall’ultimo singolo “Love Is Noise”: per noi l’edizione 2008 del Summercase poteva pure chiudersi qui. Per chi scrive ““ e per i “‘lettori’ di Ifb che erano con noi a Barcellona ““ gli Stone Roses e i Verve sono la storia del british pop. Siamo cresciuti ascoltando i loro dischi nei nostri vetusti walkmen, quando proliferavano le C-90 coi mix brit-pop copiati dai cd di chi andava a Londra, perchè a metà  anni Novanta col cazzo che trovavi tu questo tipo di musica in Italia, ed eravamo veramente quattro gatti a comprare Nme e Melody Maker e ad andare alle (pochissime) serate dove mettevano musica “‘alternative’.
Per cui, nonostante restino molte perplessità  sulla gestione di questa edizione, sia come nomi che come disposizione nella timetable e nei giorni, le emozioni che abbiamo provato durante questo Festival non le dimenticheremo facilmente.

Asciugata la lacrimuccia, prima di passare ai report dei live qualche piccolo appunto sull’organizzazione. Escluse le due icone su citate, questa edizione è stata di parecchio inferiore alle precedenti, specie il secondo giorno, nel quale l’unico concerto davvero imprescindibile è stato quello dei Kings of Leon. Assurda l’idea di richiamare, per il secondo anno consecutivo, un gruppo come i Kaisers Chiefs, già  inutile di suo che oltretutto non incide nulla di nuovo da anni.
E ancora: anche con questa line-up, le bands non potevano essere distribuite meglio negli orari e nei giorni? Il venerdì siamo stati costretti a perderci, a causa delle sovrapposizioni gente come Cornelius, e a dover assistere solo pochi minuti ai live in contemporanea di Maximo Park e Juan McLean; sabato, invece, abbiamo faticato a trovare qualcosa di decente tra il live di Kings Of Leon e quello dei Neon Neon di Gruff Rhys.

Messe da parte le critiche, passiamo alla musica. Venerdì la crew romana parte dai comodi appartamenti di Plaza Catalunya con un unico obiettivo: trovarsi per le 19.25 all’Escenario Movistar, dove suonerà  Ian Brown. Poca fila per gli accrediti (un grazie alla ragazza di Latina che ci ha dato una mano con le procedure), prima birra e diretti sotto il palco. Brown arriva sullo stage puntualissimo, ed è subito delirio. A colpire sono innanzitutto l’aspetto e le movenze: fisicamente è i-d-e-n-t-i-c-o a come lo ricordavamo nelle immagini degli Stone Roses, con lo stesso taglio di capelli, la stessa monkey-face e lo stesso abbigliamento baggy. Le movenze, poi, rivelano quanto Liam Gallagher non sia altro che un devoto emulo di Sua Maestà  Ian. Dopo aver ingerito qualcosa (chissà  cosa”…), il Nostro inizia il suo live con alcuni pezzi tratti dall’ultimo “The World Is Yours”. Con tutta la stima e il rispetto per Ian, nei primi brani (tranne “Golden Gaze”, forse) abbiamo avuto l’impressione che senza innesti elettronici la musica scorresse in modo un po’ monocorde, risollevata solo dall’entusiasmo del suo creatore che con gesti adrenalici di ogni genere e inviti a muovere il culo teneva alto il fomento del pubblico.
Poi, il miracolo: sale sul palco Gary “Mani” Mounfield – ex bassista degli Stone Roses poi con i Primal Scream ““ e Ian annuncia “Waterfall”. E’ Mad-chester, è la scena baggy, è la storia a cui stiamo assistendo, estasiati ed eccitati nel vedere realizzati i nostri sogni al di là  di ogni inimmaginabile desiderio. Solo chi c’era sa, solo chi ha sempre posto gli Stone Roses al pari dei Beatles nella propria hitlist di tutti i tempi può capire. Non bastasse, Brown e Mani proseguono con “Made Of Stone” e chiudono la “‘parentesi’ mad-chesteriana con “I Am The Resurrection”, accolta dall’orgasmo collettivo di tutti i presenti. Numeri Uno, sempre. Ed eroe vero pure il tizio che stava sul palco in pieno tripo Mdma ““ tipo Bez degli Happy Mondays ““ con il ruolo di ballerino – si fa per dire ““ in puro Hacienda style.
Goduta all’inverosimile la performance stonerosesiana e stupendoci dei molti che hanno preferito l’ennesimo hype di Nme (Glasvegas) ad un pezzo di storia della musica britannica, ci andiamo a fare un giro per gli altri palchi, dove scorgiamo l’alquanto inutile live di Whitey, caciaroni e finti post punk sul Walkman Stage, e quello electro hip hop a base di massivi scratch di Cadence Weapon sul palco della Converse.

Tornati nella zona del palco principale, incrociamo il live di Grinderman, side project garage blues di Nick Cave e Warren Ellis. Suono putrido e rovente, distorsioni a gò gò e un Re Inchiostro davanti cui è sempre doveroso togliere il cappello: nulla da dire, grande live, anche se, per i miei gusti, il concerto tenuto con i Bad Seeds a Roma qualche mese è stata un’altra cosa”…
Prima degli Interpol, non possiamo esimerci dal buttare un occhio al ritorno di Blondie, in programma alle 21.45 sul Walkman Stage, a cui ci avviciniamo con poche speranze e molti pregiudizi. Tutti sbagliati. La bionda avrà  pure l’età  di mia madre, ma ci si presenta subito con la giusta misè superwave e molto op-art nonchè con “One Way Or Another” come secondo brano in scaletta, seguita da “Heart Of Glass”. Si balla di gran gusto, tra le imberbi giovinette del luogo tutte munite della loro bella frangetta e della Converse d’ordinanza e i molti avventori più attempati. Un piacevolissima sorpresa insomma, ben più fresca e divertente dei ruffianissimi Sex Pistols il giorno successivo.

Il tempo di un panino ed arriva il momento degli Interpol, piazzati anche loro nell’Escenario Movistar. Prima del loro concerto le strade della Ifb crew si dividono: il sottoscritto, che li ha visti parecchie volte, se li gusta comodamente seduto nell’area stampa, mentre gli altri sono di nuovo in mezzo alla folla. Da quella posizione privilegiata ““ ma parecchio distante dal palco ““ ci rendiamo conto che Paul Banks e soci stanno suonando come sempre: professionali, puliti ed impeccabili, con una setlist perfettamente in equilibrio tra pezzi del passato (“Obstacle 1” e “Public Pervert”), neo wave hits (“Slow Hands”) e cose dall’ultimo, deludente “Our Love To Admire”, da cui salviamo comunque la splendida decadenza di “Lighthouse” e “No I In Threesome”.

La crew si riunisce per risolvere un quesito amletico: alle 23.30 Maximo Park o The Juan McLean? Il riserbo viene sciolto con la democratica soluzione di dare fiducia ai primi pezzi della band di Paul Smith per poi raggiungere il palco di Juan McLean.
Sui Maximo Park non siamo in grado di dare un giudizio definitivo. L’averli visti dalle gradinate, dove l’acustica era pessima, non gli ha certo giovato; poi c’è il fatto che il secondo album non mi ci e’ piaciuto moltissimo, dunque davvero non sapremmo cosa dire, se non che Paul Smith ci è comunque sembrato un frontman con le palle e che, ci pare almeno, dal vivo le canzoni funzionano. Li rimandiamo al prossimo appuntamento, che dovrebbe essere a ferragosto per il Frequency Festival.
Convincente come e più che su disco il progetto Dfa Juan McLean, un incrocio tra !!!, primi Daft Punk, botte funk e roba proto-house. Anche qui siamo stati costretti a poter seguire solo pochi brani, causa imminente live dei Verve, ma posso dire che pezzi come “Give Me Every Little Thing” hanno rinverdito i fasti della droga punk-funk che ci hanno fatto ascoltare i Chk Chk Chk nella loro esibizione al Summercase 2007.

Mezzanotte e mezza, silenzio e testa china, arrivano The Verve. Quando Ashcroft sale sul palco l’atmosfera che si crea è tipo curva del Boca Juniors dopo uno scudetto scippato al River Plate: bolgia assoluta, entusiasmo incredibile e adrenalina alle stelle. Di primo acchitto, lo stile di Richard è quello supercool dei tempi d’oro, con i suoi occhiali da sole, il giacchetto di pelle e l’immancabile catenina con appeso il crocifisso. Quando parte “This Is Music” il delirio è totale, soprattutto perchè si capisce subito che le canzoni del live andranno ad attingere parecchio da quel “A Northern Soul”, che per noi è il capolavoro della band di Wigan, a scapito dell’imminente nuovo album. Nei rari momenti di lucidità  in mezzo all’estasi totale, ci rendiamo conto che il gruppo è caricato a pallettoni, che tutto funziona alla perfezione e che Richard ne deve aver calcato di palchi, perchè ha il fare carismatico della rockstar consumata, un po’ predicatore e un po’ songwriter maudit . Passano la deboluccia “Space and Time” e la ballatona “Drugs Don’t Work”, ma è con la lisergica “Life’s An Ocean” che il concerto raggiunge l’inaudito climax, quando i sottoscritti e tutti quelli che ci sono attorno si lasciano trasportare dagli effetti lisergici della chitarra di Mc Cabe e dal mantra ascetico ““ per noi vecchi britpoppers, s’intende ““ di Ashcroft. Più avanti “Bittersweet Symphony” spacca come appena pubblicata e la chiusura è affidata al nuovo singolo “Love Is Noise”, che dal vivo ci è sembrata meno peggio di quanto sembrasse in un primo momento.

Appena volata via l’ultimo nota, ringraziamo le divinità  di Wigan e benediciamo il Summercase per averci offerto questo spettacolo incredibile, che da solo vale più di mille concertini pseudo indie del cazzo.
Esausti ma ancora fomentati, su imposizione del neo bunnies Gabriele decidiamo di abbandonare le birre in favore di un sempre corroborante Jack Daniels, il quale al Summercase non si riduce alle solite “‘due dita’ ma riempie praticamente tutto il bicchiere. Assai ritemprati dalla felice scelta, arriviamo carichi fin sotto al palco Walkman, dove sta suonando il frenchtoucher d.o.c. Etienne De Crècy. Live che rispetta le attese il suo, con un taglio bello house e, per fortuna, non troppe declinazioni electro.

La giornata si chiude dov’era cominciata: alle 2.15 l’ Escenario Movistar ospita un’altra band storica, i Primal Scream di Bobby Gillespie e qui, nonostante le forze ridotte al lumicino, l’entusiasmo di noi trentenni cresciuti a pane e a “cool britain” torna nuovamente a toccare livelli indescrivibili.
I Primal in linea con quanto presentato sui palchi degli altri festival europei, puntano ad una perfomance dalle forte connotazioni rock, rinunciando di fatto ad intromissione elettroniche e sperimentalismi vari, elementi da sempre cari al sound di Gillespie e soci.
I brani degli esordi (“Rocks”, “Jailbird”, “Movin’ Up”) risulteranno quindi essere le parentesi migliori dell’intero live, mentre canzoni come “Swastika Eyes” o “Kill All Hippies” riconducibili al periodo “elettronico” di “XTRMNTR”, perdono inevitabilmente la loro naturale incisività  riproposte nelle nuove vesti chitarra-basso-batteria.
In tutto questo facciamo anche in tempo a saggiare alcuni estratti dal nuovissimo “Beautiful Future” (“Can’t Go Back” e “Uptown”) e a ricrederci su “Dolls” e “Country Girl” contenute invece nel deludente ultimo album. Da qui due semplici considerazioni: primo, che il prossimo lavoro dei Primal Scream ha tutta l’aria di essere un gran disco; secondo che il recente “Riot City Blues” dal vivo non è così mediocre come era sembrato nei mesi successivi alla sua uscita.
“Movin’ Up”, tra le urla entusiastiche di chi considera “Screamedelica” tra le pietre miliari dei ’90’s, chiude la set-list di una performance assolutamente elettrizzante e coinvolgente, ulteriore conferma di come nonostante l’età  dei suoi artefici (il caro Bobby ha abbondantemente superato la quarantina), e i tanti anni di onorata militanza “alternative-rock”, i Primal Scream rimangono tutt’ora una delle migliori band in circolazione.

Ian Brown, Verve e Primal Scream, tutti nello stesso giorno: giornate che hanno spaccato a questi livelli non ne avevamo mai vissute, per cui, salutati i Primal Scream, decidiamo di andare a godere il meritato riposo. Con la certezza che, anche quest’anno e nonostante tutto, scegliendo il Summercase abbiamo fatto tredici”…

Link:

  • SUMMERCASE Official Site

  • SUMMERCASE MySpace

SUMMERCASE su IndieForBunnies:

Pictures from the NITE:
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Video della serata: