La mia stima per Jamie Lidell è nota e sconfinata, quindi non appena scoperto che avrebbe suonato a Bologna già  avevo deciso che ci sarei stato. Oltretutto capitava in occasione del tour dell’ultimo ed eccezionale album “Compass”, forse l’opera più alta realizzata dall’artista inglese (compresi i trascorsi nel duo Super_Collider). E nonostante qualche contrattempo, qualche indecisione e i problemi organizzativi (la location è stato spostata per cause maggiori dal comodo Locomotiv allo sperduto Link) venerdì 5 novembre ero lì, sotto il palco, ad aspettare che iniziasse il concerto da me più atteso.

Il live si è aperto intorno alle 23 e Jamie è salito sul palco accompagnato dai cinque membri della band (tastiere varie, percussioni, batteria e due chitarre, di cui credo, ma non prendetemi per certo, una fosse imbracciata da Mocky, compagno di scorribande soniche dal 2005 di “Multiply”). La postazione del frontman era ingombra di diavolerie elettroniche e la partenza è stata affidata all’esecuzione dell’ottimo singolo “The Ring”, blues avveniristico e claustrofobico che dal vivo ha subito dimostrato le radici black (uno dei miei due compagni di serata ha immediatamente esclamato “ma è un bluesman!” centrando in pieno il concetto) e lo sguardo rivolta al futuro che da sempre contraddistinguono il percorso del cantante di Huntingdon.
La successiva “Gypsy Blood” già  su disco era bella sudata e aggressiva, ma sul palco del Link è diventata davvero una fottutissima sberla funk-rock.

L’affondo elettronico di “I Wanna Be Your Telephone” con distorsioni, contro-tempi, l’ottimo human beat-box di Jamie e abbuffate ritmiche è stato uno dei vertici del concerto, incastonato tra due ripescaggi dal precedente “Jim”: la breve e sixties “Where d’You Go” e la notissima “Another Day”, uno degli inni della serata (insieme all’attesissima “Multiply”, concessa solo durante i bis).
Il quarto d’ora abbondante in cui Lidell è rimasto solo sul palco e ha trafficato sapientemente con tutti i suoi marchingegni (pad, vocoder, delay, loop-machine e chi più ne ha più ne metta) ha ricordato ampiamente il soul mutante e antigravitazionale dei Super_Collider e ha dimostrato la grande versatilità  del soul-singer, capace di esibirsi in perfetti vocalizzi e manipolare gli stessi fino a ottenere qualcosa di completamente di verso.

La morbidissima e sensuale “What Is It This Time?” è stato il primo pezzo recuperato da quel “Multiply” che enormi consensi ha ottenuto dai tempi della sua uscita ed è stata accolta con un vero boato; perchè bisogna ammettere che il pubblico arrivato al Link venerdì 5 novembre era assai attento e preparato, con pochi stereotipi indie preoccupati più della loro macchina fotografica che dello spettacolo.

“When I Come Around” e “What’s The Use”, entrambe da “Multiply”, sembravano aver concluso il live, confermando l’istrionismo dell’inglese e la solidità  della backing band (la quale, oltre a divertire noi fruitori, non ha smesso neppure per un attimo di divertirsi instaurando così un feeling invidiabile tra sopra e sotto palco); ma si capiva che le due tracce, scattanti e grintose, non potevano chiudere la serata e, dopo qualche minuto di una pausa passata tra gli applausi scrosciati ininterrottamente, il concerto ha continuato con altre tre ottime canzoni (rappresentative dei dischi citati, lasciando così il solo esordio “Muddlin Gear” privo di testimonianza).
Un evento davvero memorabile e imperdibile, durante la quale noi fortunati abbiamo avuto la possibilità  di vedere uno dei più incredibili artisti black attuali: uno che non ha paura di confrontarsi con i grandi del passato (Prince su tutti) e che allo stesso tempo è una grandiosa testa pensante.
Una soddisfazione per mente e cervello, uno spicchio di futuro.

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