Di che cosa parliamo quando parliamo di dischi, estati e giovinezze sintetiche (poco). Parliamo del fatto che non c’è gusto ““ no, non c’è proprio gusto a citare l’estate e a farla franca, ancora una volta. Si sa: ci sono certe cose (chiamiamole sonorità , chiamiamole temi, chiamiamole fregature) che messe qua e là  in un disco lo salvano automaticamente dall’abisso dell’inascoltabilità  e della noia.

Youth and lust quanto basta, passeggiate lungo l’oceano, ragazzini e ragazzine che così tanti e così belli non ne vedremo più ““ cose così, gli ingredienti sono sempre i soliti; un film dai colori desaturati e dalla storia sbiadita: l’abbiamo visto mille volte, lo vediamo una volta in più, perchè tanto, tutto sommato, alla fine, ci piace ancora, anche se manchiamo dell’innocenza necessaria per crederci (e in “Clash the truth”, i Beach Fossils scandiscono dream/rebel, trust/youth, free/life, clash/truth: tag e ingredienti buttati là  alla rinfusa ““ pescatene a piene mani, dipingetevi la faccia e i vestiti, ecco, ci siamo).

Il problema dei film così non è che continuiamo a vederli anche se sappiamo a memoria la trama, il problema di questi film è provare a replicarli, girare il sequel, ora che la protagonista ha finito il liceo e deve trasferirsi nel primo dorm della sua vita ““ i.e. il problema di gruppi come i Beach Fossils è fare un secondo album senza copiare il primo, dove ““ se proprio il capolavoro non spunta all’orizzonte ““ ci siano almeno un paio di trovate geniali per salvare la sceneggiatura.

Quella “Groovy America” che ero andata a sentire al Covo (no, però i Drums no, I still don’t wanna go surfin’) s’è tutta presentata al banco di prova con un secondo cd; a loro poi aggiungiamo anche i DIIV, side project dei nostri eroi Beach Fossils. Ma che si tratti degli uni o degli altri, gli ingredienti non cambiano, ma suonano un po’ tutti come all your work and inspiration, systematic expiration (“Generational synthetic”), generatori automatici malfunzionanti di estati, un po’ stanchi ““ le combinazioni stanno iniziando a ripetersi veramente troppo e non so davvero se possiamo sopportarle ancora (ma sì, in realtà , è tutto così innocuo da essere tollerabile ancora a lungo, tollerabile però, mica altro). Dischi tutti uguali, carini e piacevoli ““ così anche “Clash the truth”.

Va così male? No ““ ci sono qua alcuni episodi molto felici, come “In vertigo” con Kazu Makino (Blonde Redhead), “Caustic Cross” o la title track “Clash the truth”: pigre e un po’ nere (ma forse solo sottoesposte) sono fotografie da spiagge lunghissime e deserte, con le palme bruciate dall’inquinamento e l’acqua di un colore innaturale, le vie svuotate e nessuno in giro. I luoghi da non perdere si stanno spostando altrove, qui rimangono file di ombrelloni e sdraio chiusi, i segni di una coolness appannata. E qualche buona melodia, per chi resta.

Credit Foto: Rebekah Campbell