Non sottovalutate Maya.
Non commettete l’errore di infilarla nella classe delle “‘mocciose myspace’.
Lily Allen, Lady Sovereign, e l’ultima arrivata Kate Nash, bruttine e troppo poco patinate per costituire una valida alternativa alla Rhianna di turno, furbette e ironiche quanto basta per strappare più di un sorriso compiaciuto alla folta categoria di snob ascoltatori indie/alternative.
Con tutto il rispetto per queste fanciulle, Maya è ben altra cosa.
Non fosse bastato il sorprendente debutto “Arular” a porre l’accento sulle doti della ormai trentenne anglo-cingalese, arriva ora il momento di “Kala”, disco al quale il semplice appellativo di “lavoro della definitiva maturazione” sembra stare fin troppo stretto.
Ma andiamo con ordine, gli argomenti con cui Maya Arulpragasam in arte M.I.A sbaraglia le ben più pubblicizzate coetanee sono numerosi e validi.
Prima di tutto ci sono i testi.

Forti, diretti, genuinamente “‘politically-scorrect’, autentiche sferzate sulla schiena di uno star-system musicale ancora pateticamente legato a stucchevoli proclami “‘peace & love’ o peggio stancamente intento a recitare la solita solfa “‘anti-bush’.
Quello che urla in faccia M.I.A. è la dura e cruda realtà  dei nostri tempi, servita senza filtri o fiacchi slanci buonisti.
Ora un rap, ora una cantilena, ora divagazioni da vocalist tamarra del più tamarro dei party electro-rock, per nostra fortuna la lingua è lingua e non esistono freni che possano fermarla.
Qui si tira in ballo il Ruanda, il Darfur, i genocidi, l’ OLP, colpi di pistola si sovrappongono a quelli di registratori di cassa intenti ad incassare dollari, altro che “you were fucking that girl next door” o “i see you cry, yeah it makes me smile”….”.
E poi c’è la musica, materia con la quale anche il più preparato dei parolieri prima o poi deve fare i conti. La nostra anche qui non si tira indietro, abbatte senza colpo ferire il clichè di quel cantautorato impegnato che vuole suoni e ritmi relegati a semplici ruoli di accompagnamento per idee e proclami.

Temi socio-politici trattati con naturalezza e dissacrante ironia abbinati ad un impasto sonoro comunque curato e ricco di spunti, ecco l’amaro boccone rifilato anche a coloro i quali si ostinano a farci credere che club e piste sono ritrovo di sole “lucignole” zucche vuote.
Rimane di fondo l’aria da “Bollywood Dance Party” che si respirava nel precedente “Arular” anche se in più di un occasione si spinge forte sull’acceleratore delle percussioni elemento che in parte alza il tono degli inevitabili sapori etno-world.
Un esperto pool di produttori (Diplo e $witch) fa comunque il suo gran bel lavoro, rendendo questa nuova fatica, prodotto musicale ben più eterogeneo del suo pur ottimo predecessore.
“Jimmy” è autentica disco-music volutamente retrò, atmosfere da street-rap si affacciano in “Mango Pickle Down River” , anche il lontano pianeta rock finisce da queste parti per essere citato/campionato (Clash, New Order, Pixies).

Come se tutto questo non bastasse la conclusiva “Come Back Around” è uno sfacciato gioco al travestimento realizzato con la consulenza dell’onnipresente Timbaland.
Il produttore più richiesto e per quanto mi riguarda inspiegabilmente apprezzato, fa in realtà  poca cosa, realizzando un contributo, “‘rap truzzone’ compreso, che ben poco si discosta dalle scialbe rese in dono ai divi commerciali del momento.
A rendere questa traccia, brano degno di nota ci pensa come al solito la nostra M.I.A., con una prestazione provocatoriamente mirata a scimmiottare il pop-idol di turno e che finisce per offrire lo spunto per un’altra gustosa considerazione : questa ragazza ha talento da vendere, gli riesce qualsiasi cosa anche sbranarsi a colazione Nelly Furtado.

Da più parti leggo che questo album, per quanto promosso a pieni voti, non esprime ancora in pieno l’immenso potenziale della sua autrice. Punti di vista, vediamo cosa riserverà  il futuro, ma di una cosa possiamo essere certi fin da ora, mentre le “ragazzine” di sua maestà  saranno sempre impegnate a raccontarci, con alterne vicissitudini, scialbe storie tardo-adolescenziali, Maya non smetterà  di farci agitare il fondoschiena con un pensiero sempre rivolto ad un pianeta che si ostina a non girare nel verso giusto.