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Con tutte le uscite mediocri che ho ascoltato ultimamente quando ho messo su questo disco ho urlato di gioia. Cazzo, questo è proprio un discone. Basta ascoltare l’iniziale “NR 17”: parte come i Chemical Brothers, ben presto immagina il Trio Of Doom suonare insieme ai Kraftwerk per poi finire tra le braccia di Plastikman. Il tutto con il sapore di una jam d’altri tempi ed il resto dell’album ha lo stesso entusiasmo, la stessa geniale furia centrifuga”… Non ci credete? “The Fly” (uno dei singoli apparsi negli scorsi anni) suona cyber-funk come Mark Stewart ed i suoi compagnoni di Maffia più di vent’anni fa e un attimo dopo rallenta e sfodera i synth senza perdere nulla della sua epica inquietudine. “Naoka’s F” potrebbe averla scritta il divino Miles se fosse stato ancora tra noi: fusion-jazz digitale figlia di Tutu, di “In A Silent Way” quanto dell’onnivora mistura electro-lounge del Luke Vibert periodo Wagon Christ. E poi? E poi drumming incazzato che la prossima volta in cui ho la tigna metto su questo anzichè il primo dei Limp Bizkit; suoni irresistibili e sorprendenti (come a guardare in faccia Ercole ed il suo Problema d’Amore e dirgli che “sì, dagli anni ottanti si può tranquillamente uscire vivi e continuare a danzare”); un groove immenso, oceanico, trascinante, mai domo, eccezionale; la capacità di reinventarsi ogni minuto spaziando fra mille influenze (più di una volta si rimane spiazzati di fronte alla perizia tecnica nascosta dietro ai brani, ma allo stesso tempo viene sempre esorcizzata con secchiate di euforia l’ombra del virtuosismo). Questi Syclops me li immagino come una navicella spaziale in mezzo a tantissimi meteoriti: l’astronave prende mille botte ed ancora di più, sbanda ma va sempre avanti e non ne risente affatto, semplicemente rende la traversata molto più divertente e spericolata. |
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