Un live report fatto a regola d’arte, come ogni forma di giornalismo che si rispetti, annovera tra i suoi imprenscindibili punti cardine sicuramente l’imparzialità  e l’oggettività  dell’analisi dell’argomento in questione. Quindi chiedo preventivamente scusa a tutti gli amanti delle cronache fredde ed impeccabili, precise, puntuali, ordinate e obiettive. Potrebbe essere stata l’influenza del palazzetto sold out da qualche mese, o il fatto che ormai gli Arctic Monkeys sono una realtà  consolidata e riconosciuta da praticamente chiunque, tra i 15 e i 50 anni, con un minimo di passione per la buona musica. Ma a mio modestissimo parere, uno strappo alle regole sopracitate in questo caso è più che dovuto. La storia di questi 4 ventenni di Sheffield, dalla scoperta attraverso i social network, al record di vendite del loro primo album, fino alla trasformazione in fenomeno mediatico con conseguente successo planetario (si dice così in questi casi, no?) e orde di pubblico al seguito è ormai ben nota ai più. Tanto è che per un Martedì di gennaio in una città  fredda come la stagione che la attraversa, ritrovarsi in un Palasharp gremito, è roba concessa solo in rari casi.

Mentre sul palco provano a far togliere qualche cappotto i Mistery Jets, un gruppo di Londra che l’anno scorso con “Young Love” assieme a Laura Marling si erano ritagliati un angolino di celebrità  nel panorama indie-pop, l’atmosfera inizia a caricarsi di attesa. Gli unici dubbi che aleggiano tra la folla sono a riguardo di come suoneranno dal vivo i pezzi del nuovo album dei Monkeys , “Humbug”, meno immediati e diretti dei 2 precedenti dischi, che qualcuno ha frettolosamente etichettato come un mezzo passo falso o altri ancora come una prova di maturità  poco convincente. Ma alle 21.30 precise ci pensano i diretti interessati a dare materiale papabile su cui esprimere giudizi aprendo il set con la morbida “Dance Little Liar”, che potrebbe dare ragione ai miscreditori del nuovo album, se non fosse che finisce in un crescendo forsennato che si trasforma nella concitata “Brianstorm”. E qui bisogna fare subito una precisazione. Matt Helders è uno dei batteristi più dotati che ci siano in giro e sicuramente il più fenomenale della sua generazione, e vederlo dal vivo vale quasi da solo il prezzo del biglietto. “Agile Beast” (come scritto sulla grancassa del suo kit), suona i suoi intelligenti riff come se avesse 8 braccia e 4 gambe, con una forza ed una precisione incredibili.

Non è un caso dunque che sia il bassista Nick O’Malley che i due chitarristi Alex Turner e Jamie Cook, durante le parti strumentali si portino nei suoi pressi per farsi guidare dal ritmo che decide lui di imporre. Nei pezzi che seguono l’exploit iniziale, il pubblico delle prime file, piuttosto stipato e accaldato a giudicare dalle continue felpe volanti, ha l’opportunità  di ‘riposarsi’ con la cover di Nick Cave “Red Light Hand” o con la romantica “Cornerstone”. Per ‘riposarsi’ si intende ovviamente dagli impegnativi pezzi del primo album che con la doppietta “The View From The Afternoon” e “I Bet You Look Good On A Dancefloor” creano uno scompiglio generale che li consacra ormai come dei veri e propri classici. Il culmine si ha poi quando durante l’intro di “When the Sun Goes Down” Alex Turner si ferma prima di iniziare la strofa che inizia la parte forte della canzone. Con il piglio di chi ci sa fare, aspetta che la pausa si trasformi in un deliro generale di urla ed applausi che si protraggono per qualche minuto. è un momento strano, qualcosa di magico si direbbe, di inaspettato anche per lo stesso Turner che alla fine del pezzo ringrazia per la gentilezza e per averlo reso partecipe di una cosa così meravigliosa. E dunque, per finire, effetti pirotecnici da show spettacolare sul culmine di “Secret Door” quando migliaia di coriandoli vengono sparati in aria e ricadono sul pubblico sorridente. Segue un breve rientro sulla scena con una versione dal ritornello più reggaeggiante di “Fluorescent Adolescent” e “505” dallo stesso album.

Finito anche questo bis io ho la fortissima voglia che tutto ricominci da capo, che l’ora e mezza per cui hanno suonato sia troppo poco, che non mi importi molto di quello che si dice del nuovo album, perchè lo show dal vivo è come una palla di vetro e basta un’occhiata per fugare ogni dubbio. Si vede chiaro e limpido che il futuro è nelle loro mani! (tan dan dan daan, che finale ad effetto)

Credit Foto: Lucas Tavares, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons