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Dopo cinque anni di attesa da quell’unico live in Italia, al Mediolanum Forum di Milano, ecco che ritorna uno dei gruppi più influenti della musica indie-rock contemporanea. Definiti l’ultima guitar band in circolazione, signore e signori, gli Arctic Monkeys.

L’Ippodromo di Milano non è mai stato così pieno. Oltre 65.000 persone sono accorse fin dalle prime ore della mattina ad accaparrarsi un posto, con una buona visuale, per assistere ad una data evento del palinsesto degli I-Days di Milano.

Anticipati prima dagli Omini (reduci da X-Factor), Willie J Healey e The Hives (che dal vivo spaccano sempre), gli Arctic Monkeys guidati dal frontman Alex Turner sono saliti stranamente in orario sul grande palco dominato da un cerchio onniveggente. Con uno stile di scenografia tra l’era “Tranquillity” e “The Car”, la prima canzone a sorpresa a risuonare in tutto il parco è stata la micidiale “Brianstorm”.

Non me lo aspettavo. Un inizio folgorante con una canzone vecchia, ma mai dimenticata, di repertorio. Non una del nuovo album, come certe volte è successo. Iniziare proprio con quella ha dato lo scossone giusto ad un pubblico accaldato e stanco, ha risvegliato in tutti noi quella voglia di rock’n’roll persa con l’ultima goccia di sudore. That rock’n’roll, eh?

A seguire una serie di pezzoni stupendi, da “Snap Out Of It” fino a “Crying Lightning”, da “Teddy Picker” a “Why’d You Only Call Me When You’re High?”. E ancora niente, nessuna traccia dell’ultimo album. Fino a questo momento le scimmie artiche sono cariche, si divertono e suonano un pezzo dietro l’altro. Alex è il frontman che oramai tutti osanniamo, una divinità che sa come tenere un palco proprio perché quest’ultimo è già suo di default. “Arabella” viene terminata con un outro da “War Pigs” dei Black Sabbath; “505” viene presentata con un nuovo arrangiamento; “Four Out Of Five” viene completamente stravolta dalla versione live che noi tutti conoscevamo.

Fa strano dirlo, ma sono diversi. Sono tecnicamente bravi, la loro voglia di spaccare è rimasta intatta ed il virtuosismo è sempre all’ordine del giorno. Eppure si ha la netta sensazione che, soprattutto per quanto riguarda i pezzi vecchi, il mood sia alla “va beh, ve le facciamo dai”. Spaccano sempre tanto questi intramontabili pezzi, gli arrangiamenti sono ottimi ma Alex fa più il divo, con una voce più lenta e spaccata, quasi più melodica che graffiante. Su 21 canzoni, solo 4 provengono da “The Car” e questo fa un attimo storcere il naso. Non si capisce se siano lì per promuovere il disco o per farci contenti.

Però il pubblico è contento, anzi contentissimo. Ed è proprio su questo che vorrei fare un ragionamento ulteriore: il pubblico degli AM nel 2023. Non solo ragazzi trentenni, o poco più anziani, ma anche e soprattutto teenager con genitori appresso. Sembra assurdo pensare che una band come questa, fatta oramai da quarantenni, possa attrarre queste fasce d’età più piccole.

Eppure, non è strano. Con il lancio e il mega successo di “AM”, gli Arctic sono diventati la band di Tumblr, degli outsiders, dei fighettini, dei modaioli, di chi beve birra e subito dopo un G&T ghiacciato. L’aura che hanno creato con quel magnifico album è ancora intatta e riesce ad attrarre utenti che all’epoca erano letteralmente dei bambini. Un album del 2013 ha convinto intere famiglie a venirli a sentire. E suona ancora più bello, e assurdo, soprattutto dopo la svolta space-rock/lounge degli ultimi due dischi. Non è un caso, infatti, che proprio durante le hit come “Do I Wanna Know?” di “AM”, le masse di brufoletti puberali scoppiavano in urletti e manifestazioni di gioia e sesso imbarazzanti. A distanza di 10 anni, quindi, questo album riesce ancora ad attrarre nuove masse di fan.

Un’ora e mezza di concerto è comunque servito a conservare l’infinito amore che noi proviamo per la loro musica, per il loro stile super fichetto e per la loro bravura nei live. Per chiudere questo “festival”, se così possiamo definirlo, ci volevano proprio gli Arctic Monkeys che si confermano una delle band più fantasmagoriche in circolazione.

Il pezzo però che ha spaccato di più? “Body Paint”.