Una summer of love, un sacco di conigli colorati, noi che ci abbracciamo, voi che vi volete bene, e poi ancora fiori, pace e amore e”… . Vabbeh, forse è un po’ troppo. Diciamo pop-psichedelico per principianti, però”…magari tutti i dischi di questi mesi fossero così piacevoli!

I Kula Shaker tornano dopo tre anni e questo “Pilgrim’s Progress” è il quarto album per la band di Crispian Mills. Dopo la pubblicazione di “Strangefolk”, seguito da un estenuante tour di due anni, il gruppo si è chiuso nel proprio studio di registrazione a Chimay in Belgio per dare vita a dodici tracce e la cosa sembra decisamente funzionare. Produzione bella coerente nel genere proposto, con pochissime cadute di stile e varie atmosfere che guardano più verso il folk ad ampio respiro che al rock diretto anni settanta contaminato da melodie indiane (esatto, quindi ben lontani da “K”). Siamo sempre dalle parti dei Beatles (quelli di Harrison ovviamente) ma la cosa, seppur ormai riciclatissima, suona convincente. Chiariamo subito che dentro questa produzione (licenziata dalla loro label personale) non troverete la salvezza, nè tantomeno la vera spiritualità  che andate rincorrendo da anni (e che, notizia, non troverete mai neanche quella se continuate a ingozzarvi al McDonald e a urlare come lupi mannari per un gol mancato a Pro Evolution Soccer).

Il disco si apre con un bel brano intitolato “Peter Pan R.I.P.” e l’ascoltatore può già  rendersi conto ampiamente che tra viole e chitarre acustiche la cosa contrasta nettamente con l’apertura di tutti i loro dischi precedenti. La psichedelia e il libero sfogo puramente rock, fatto di assoli, cori e minuti su minuti che scorrono per una sola traccia ci sono sempre (vedere la chiusura affidata all’ottima e toccante “Winter’s Call”) però nel complesso si può ben dire che questo è il vero album della maturità  per i Kula Shaker. Lontanissimo l’entusiasmo del 1996, lontani anche i tempi del rock lisergico ed elettrico dell’epoca prima dello scioglimento, una volta tornati insieme (fatta eccezione per Jay Darlington) Crispian Mills e gli altri hanno deciso di badare al sodo, dando una precisa identità  sonora al gruppo che non fosse quella di Ah i Kula Shaker, si me li ricordo, quelli di quella canzone”…”‘Govinda’”…roba rock e melodie indiane mi sembra, boh”… interessanti?”…adesso giochiamo a pro evolution soccer.. Ecco quindi un album compatto, sicuramente il più chilled-out della serie, dove la strumentale “When a Brave Meets a Maid” cita Morricone in più parti e “All Dressed Up” e “Cavalry” rappresentano le vere tracce must del disco, ottimamente pensate e prodotte, in contrasto con la fin troppo leggera se non inutile “Barbara Ella”.

Ad ampio respiro e “sereno” se così si può dire, questo disco è la perfetta via di mezzo tra “Strangefolk” e “Peasants, Pigs And Astronauts” (sicuramente non un capolavoro, ma, a detta del sottoscritto, ingiustamente a suo tempo sottovalutato dalla critica). “Pilgrim’s Progress” suona un po’ come la direzione che i Coral hanno intrapreso già  da un po’ dopo l’uscita di Bill Ryder Jones dal gruppo e confermata anche dal recente ultimo disco, o anche come “Think Thank”, album dei Blur senza Graham Coxon, anche qui chitarrista di talento. Non serve necessariamente una chitarra elettrica in primo piano per produrre buona musica pop-rock.

Il rovescio della medaglia è che chi amava i Kula Shaker perchè freschi, diretti e anche un po’ “‘radio-indiani-ruffiani’ adesso si troverà  un po’ deluso e parlerà  di ‘una mancanza di grinta’. Chi invece come me si aspettava un altro album con belle canzoni ma anche tanta roba messa come riempitivo, tanto per allungare il brodo, beh avrà  di fronte una piacevole sorpresa, un cambio di passo, sicuramente più lento, meno chiassoso e più meditativo, che porterà  a più ascolti di sicuro.