Ora mi è chiara una cosa: “Is This It” fu più un colpo di culo che un disco riuscito. Incurante delle critiche di citazionismo vicino al plagio, ascoltai quel disco sino allo sfinimento. D’altra parte, per quanto scopiazzante a destra e a manca, fu un disco a suo modo seminale per come riuscì a dare il via all’invasione del revivalismo rock che investì prima il garage e poi tutto lo scibile musicale dei decenni antecedenti gli anni zero. Poi il nulla o quasi: dischi mediocri e tanto hype ingiustificato per le bizze di Casablancas e soci. Niente per cui gridre allo scandalo, piccole schermaglie dello star system che impallidiscono al confronto di quelle che hanno visto protagonista un altro grande sopravvalutato delle nuove generazioni: Pete Doherty.

“Angles”, che segue di ben cinque anni il mediocre “First Impression Of Earth”, purtroppo non riesce nell’intento di risollevare le sorti di una band che, a conti fatti, ha mostrato di avere il fiato corto, anzi cortissimo. L’album pesca un po’ dal pop-rock mainstream degli anni ’80, tra brani più o meno riusciti come la doppietta iniziale “Machu Picchu” e il primo singolo estratto “Under Cover Of DArkness”. Il resto della scaletta arranca notevolmente oppure imbarazza, come nel caso di “Metabolism”, probabilmente pescata nel cestino dei rifiuti delle canzoni dei Muse.

L’impressione è quella che siano bravi a copiare dagli altri, ma assolutamente vuoti di idee proprie e di una cifra stilistica personale. Alla fine del giro resta davvero poco, soltanto qualche sorriso accennato tra uno sbadiglio e una smorfia di disapprovazione. I The Strokes forse non sono mai esistiti e “Is This It” fu semplicemente un bellissimo disco di una band fantasma. Chiamate i Ghostbusters.

Credit Foto: Roger Woolman, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons