Quando si parla di passato,  The Black Keys non hanno paura a riviverlo da cima a fondo. Se ci sono band che magari rinnegano i lavori precedenti, loro invece sono fieri delle radici che ha portato il duo ad ottenere dischi di platino per il loro garage rock (oramai da palazzetti).

Proprio il Blues, quello profondo e vero del Mississippi, è alla base di questo album di cover dal titolo “Delta Kream”: quest’ultimo ispirato alla foto, diventata iconica, di  William Eggleston  in copertina. Lo ha detto pure il frontman del gruppo,  Dan Auerbach, come questo lavoro sia un omaggio a quegli artisti che hanno influenzato lui e il socio  Patrick Carney in tutti questi anni. In questo LP, la maggior parte delle tracce sono dei due grandi blues-man  della scena americana che hanno proprio tracciato il percorso del duo di Akron (Ohio):  Junior Kimbrough  R.L. Burnside.

C’è un problema però: se contaminazioni blues noi le sentiamo oramai dal lontano 2002 (i primi due pezzi che aprono “The Big Come Up” sono proprio cover dei due artisti sopra citati), in questo momento mi viene da chiedere alla band “Perchè?”. Capisco benissimo che questo lavoro sia un omaggio ai vostri grandi maestri, ma quello che traspare da questo album è che i  The Black Keys abbiano preso quelle canzoni del lontano Mississippi e le abbiano trasformate in versioni garage rock.

La maggior parte del disco è stato registrato durante le pause del tour del precedente lavoro, “Let’s Rock”, anche con l’aiuto di musicisti che avevano lavorato proprio al fianco di  Kimbrough e Burnside come, per esempio,  Kenny Brown o  Eric Deaton. Il problema però che rivisitazioni di “Do The Ramp” o “The Big Come Up” non portano niente di nuovo alle canzoni originali: risultano essere semplici cover che, in confronto a molte altre, non hanno granchè da dire. Prendiamo per esempio “Poor Boy A Long Way From Home”:  AuerbachCarney sicuramente riescono a rievocare il buon vecchio  Burnside, ma essendo il pezzo originale così vecchio ci sono già  cover molto (e dico molto) migliori di questa. Tra tutte, per quanto mi riguarda, quella di  Gus Cannon  (e non sono solo l’unico a dirlo).

Quindi, i vari pezzi ripresi dal duo vertono sempre verso una versione più tendente al loro rock. E ok, voi direte, si tratta di cover quindi ci sta che vengano ri-arrangiate come vogliono loro. Certo è vero, però, che quando si toccano i mostri sacri del blues, quello vero e profondo del Mississippi, bisogna stare molto attenti: sicuramente The Black Keys  hanno tutte le ragioni per farlo, ma loro in primis dovrebbero sapere come rispettare le vere tradizioni dei grandi musicisti blues americani.