I Black Lips stanno facendo carriera e, giunti al sesto album, sono in possesso di una cifra stilistica perfettamente riconoscibile. Canzoni brevi, che entrano subito in testa, dove garage e punk scanzonato vanno a braccetto regalando momenti di puro divertimento catchy come in “Family Tree” e “Modern Art”, uno-due di apertura che invoglia subito ad ascoltare un disco che ha nella freschezza la sua maggiore qualità . C’è spazio anche per un tributo alla mascotte degli Atlanta Braves in “Noc-A-Homa” , squadra di baseball della città  natale del quartetto, canzone che non stonerebbe di certo se suonata durante gli intervalli delle partite della Major League.

Così come avviene nei loro live, i Black Lips danno la sensazione di divertirsi come pazzi a suonare la loro musica senza fronzoli, omaggiando band del passato che sono chiarissime influenze per i quattro georgiani: si va dagli Stones di “Dumpster Dive” ai Ramones di “Raw Meat”, fino agli immancabili Beach Boys che riecheggiano nel battimani e negli oh-oh di “Bone Marrow” ma pure nel surf-pop inacidito di “New Directions” (con strofa degna dei più recenti New Pornographers tanto per citare altri figliocci del sempiterno Paul Simon).

Fin qui le note positive. Ciò che lascia più d’una perplessità , trattandosi di un gruppo di simpatici cialtroni, è la straordinaria pulizia della resa finale del disco, insomma mai che le voci si accavallino o che qualche suono vada fuori registro, mai un momento di meraviglioso caos. Non c’è spazio per gli eccessi e le sconcezze stupidelle che tanto mi hanno fatto amare i lavori precedenti, in particolare “200 Million Thousand” che fu vera rampa di lancio per la carriera della band nonchè uno dei migliori dischi usciti nel 2009. In poche parole qui manca tutto quello che ha reso speciali i Black Lips innalzandoli al di sopra di tanti altri colleghi dediti ad un genere peraltro piuttosto trito. Il sospetto maggiore è che sia stata sbagliata la scelta di affidare la produzione a Marc Ronson, quotatissimo DJ e producer in ambito pop che ha nel suo portfolio le recenti “prodezze” di Amy Winehouse e Duran che, per carità, saranno pure grandi artisti ma poco hanno a che vedere con i nostri eroi storditi