Dopo lo scioglimento delle Sleater-Kinney i fan più inconsolabili non hanno certo rinunciato a seguire le gesta delle proprie beniamine, destreggiandosi abilmente tra carriere soliste e nuovi progetti. Le Wild Flag aggiungono un nuovo tassello a questo complicato puzzle.

Il quartetto tutto al femminile di stanza tra Portland e New York, formato dalle ex Kinney Carrie Brownstein e Janet Weiss insieme a Mary Timony (Autoclave, Helium) e Rebecca Cole (The Minders), ci ha messo ben poco ad essere notato grazie al passaparola tra vecchi e nuovi ammiratori e a una serie impressionante di live sopraffini. L’omonimo disco d’esordio arriva dopo due singoli pubblicati a grande richiesta e ha tutte le carte in regola per mantenere le attese.

Alle già  ben note “Romance”, “Glass Tambourine”, “Future Crimes”, briose e punteggiate da frenetici assoli di chitarra, si affiancano pezzi ironici e ritmati (“Black Tiles”), allegri (“Something Came Over Me”, “Oh Yeah”), intensi (“Electric Band”, che sembra uscita da un album dei T Rex di Marc Bolan) sognanti (“Endless Talk”) arrabbiati (“Boom”, “Racehorse”, “Short Version”) tra picchi di furore riot grrrl (perchè il passato non si scorda mai) e un tocco di eccentricità  nel suono, più “pulito” che nei concerti, con una profusione di tastiere anni settanta e echi di quella modaiola scena di Brooklyn da cui oggi è quasi impossibile prescindere.

“Wild Flag” si rivela fin dalle prime note un album fresco e godibile, genuino come pochi. Traspare da ogni nota l’incredibile energia, la straripante voglia di calcare il palco che ancora hanno queste ex (ma sul serio??) ragazzine terribili, miracolosamente in grado di accumulare esperienza rinnovandosi di continuo, senza perdere in smalto e passione.