Sono passati tredici anni da Blair Witch Project, il finto documentario horror che si è inventato un genere che oggi approda anche nel format delle serie tv. A ripensarci bene, è accaduto in netto ritardo rispetto agli standard attuali dei serial americani, pronti a fagocitare qualsiasi spunto cinematografico come avvoltoi sulla preda indifesa. Arriva quindi The River, che parla delle vicende di un noto esploratore, Emmet Cole, scomparso da alcuni mesi nel Rio delle Amazzoni assieme alla troupe in circostanze non ancora chiarite. La moglie, assieme al figlio e al produttore televisivo Clark Quietly, organizza un gruppo di soccorso che risalirà  il fiume, le cui ricerche saranno filmate in stile documentaristico.

La trama è diretta e lineare, mentre tutte le vicende sono filtrate attraverso la camera a mano dell’operatore anche nelle situazioni più disperate, in cui un essere umano senziente penserebbe a salvare la pelle piuttosto che continuare a riprendere. Come tutti gli horror che si rispettano, viene conservato il principio di idiozia dei protagonisti, che calamitano stupidamente una serie di piccole catastrofi; emblematico il caso dell'”albero delle bambole”, un luogo a dir poco inquietante nel pieno della foresta amazzonica dove i malcapitati pensano bene di passare la notte con conseguenze allucinanti. Premesso che la profondità  e il ritratto dei protagonisti è da encefalogramma quasi piatto, alcuni episodi sono più che godibili e passano in rassegna una serie di orrori di volta in volta sempre diversi, fino al finale non proprio memorabile.

L’intrattenimento è assicurato, buona parte degli episodi funziona sufficientemente, anche se solo a tratti, con qualche buona trovata scenica. I limiti riscontrati in questo tipo di struttura narrativa non tardano ad arrivare; il “vedo e non vedo” funziona bene, il gioco delle suggestioni e dell’ignoto è perfetto, ma al momento in cui i nodi vengono al pettine le idee di fondo perdono mordente e il tutto si banalizza brutalmente. E’ una peculiarità  anche delle controparti cinematografiche e non poteva che essere altrimenti: quello che funziona di più è la suggestione del momento piuttosto che la storia in sè. E’ la dura legge del “mentre”, incapace di lasciare nel “poi” quel retrogusto piacevole che le migliori produzioni regalano allo spettatore. Ci siamo divertiti, ma niente più. Avanti il prossimo.