C’era un più che discreto (e giustificato) hype intorno al nuovo lavoro dei Peaking Lights. Ci avevano lasciato con l’acclamato “936” stordendoci dolcemente con le loro melodie sintetiche e oniriche, ora tornano genitori del piccolo Mikko e con un titolo che a prima vista potrebbe non essere esattamente tranquillizzante. In realtà , ‘Lucifer’ non paga nessun oscuro tributo, ma va inteso come Venere: stella del mattino, portatrice di luce, spiega Aaron Coyes. Il viaggio in cui lui e Indra ci conducono, infatti, sembra essere temporalmente collocato tra il sorgere della luna (“Moonrise”) e quello della stella del mattino (“Morning Star”), foriera di un nuovo inizio.

Fermo restando che hanno orami creato proprio riconoscibilissimo sound, rispetto al precendente “936” i coniugi losangelini mettono le cose maggiormente a fuoco. Compaiono riff di chitarra e di piano più (lasciatemi passare il termine) “tridimensionali”, risaltando dalla coltre sintetica pur sempre presente.
Ecco allora che in confronto al disco precedente, l’ascolto risulta essere anche più semplificato , meno straniante e più concreto e attivo. Ne vien vuori una musica anche ballabile. Se prima le onde dei synth ci cullavano quiete, ora fanno navigare una barca a bordo della quale si fa festa non disdegnando ritmi e sonorità  vagamente caraibico-hawaiiane (“Dream Beat”), oltre che ovviamente dub (“LO-HI” e “Midnight: In The Valley of Shadows”, entrambe con venature funk).
Il pezzo che probabilmente più si avvicina a quelli di ‘936’ è “Cosmic Tide”, in cui ritroviamo chiaramente i palpiti e le mantriche schitarratine di una “Amazing and Wonderful” o di una “Marshmellow Yellow”.

Che dire insomma? Secondo centro consecutivo: un altro album denso privo di sbavature, un suono personale arricchito da quel tocco di “pop” adatto a raccogliere più orecchie senza sacrificare la qualità . I Peaking Lights hanno fatto ciò che dovevano: aggiungere quel minimo alla già  ottima formula precendente tale da compiere un piccolo, ma grandissimo, passo in avanti.