Il ritardo con il quale esce questa recensione è uno dei segnali chiari e innegabili che il decadimento del buon gusto (musicale) ci coinvolge tutti, dal produttore al consumatore, passando per i mille ie colpevolissimi intermediari.

I produttori nel caso specifico sono esenti da colpe perchè Michael Gira e soci hanno sfornato un lavoro straordinario, summa, a detta dello stesso musicista californiano di nascita ma europeo per vagabondaggio, di trent’anni di carriera. Un’opera mastodontica nella resa finale (doppio CD o triplo LP per quasi due ore di musica) ma pure nelle sue singole parti, un calderone di idee sviluppate fino alle estreme conseguenze, brani lunghissimi eppure folgoranti, almeno una decina di generi rielaborati e mescolati.

“The Seer” può tranquillamente fare da catalogo  di tutta la produzione nella carriera della band newyorkese ma anche da compendio di musica americana del Novecento. Tutto ciò viene in soccorso del recensore (recensori?) distratto da troppi dischi, facendogli pronunciare la fatidica formula: “album senza tempo che rimarrà  nel tempo” ma pure facendosi allegorico ceffone per risvegliarlo dall’incubo e riportarlo al centro dell’universo animale, fatto di gerarchie ben precise, da rispettare. Per cui basta seguire occasionali ciarlatani dai visi e dalle produzioni pallide, ammantati di vesti effimere, inesistenti; destatevi! Scoprirete così che quelle vesti così colorate a prima vista, in realtà  non sono e vi accorgerete che le terga di quei falsi dei non sono tanto diverse dalle loro facce e che l’unico vero profeta è l’uomo col cappello da cowboy.

Colui che con una semplice chitarra acustica è capace di chiamare a sè eserciti di strumenti e macchine per imbastire e scatenare eventi messianici, sussurrando le proprie formule magiche, proiettando il folk e il blues più sulfureo sulla luna. Dimenticare la canzoni e scoprire il suono, abbandonare la forma metrica e venire scorticati dalle parole di un lavoro capace comunque di regalare brani di altissimo valore. Questo è ciò che bisogna fare, oltre chiaramente a mettere in discussione le proprie certezze. Perchè l’incanto richiede destabilizzazione ma amare la destabilizzazione è oggi la cosa più difficile, perchè ci hanno insegnato che è bello ciò che rientra nella perfetta definizione di strano, diverso, in realtà  così uguale da far vomitare.

Bisogna abbandonare cioè quello che crediamo essere originale e finalmente abbracciare il caos. “The Seer” è la bestia feroce e abbastanza inverosimile che mira alla tua gola ma in fondo non è solo imparando a non temere la morte che si vive davvero? Non è  perdendo tutto che ci si può permettere di non avere paura di nulla? Scusate, sono tutte cazzate. L’unica cosa che conta è che questo è un disco sublime, nel senso più classico del termine, che tenta di portarvi fino alla soglia dell’infinito. Lasciatelo fare, altrimenti tenetevi i Muse.