Si vuole un gran bene agli Akron/Family. Freakettoni a metà  tra campesinos e hippies fuori tempo massimo, con cilindri pieni di arcobaleni folk in riflessi psichedelici.
Il placet di Michael Gira dovrebbe esser buono a dissipare ogni dubbio circa il fatto che parliamo di una delle più credibili band degli ultimi dieci anni. Eppure, eppure, eppure.

Eppure in questo “Sub Verses” l’influsso dello zio Michael non sortisce del tutto quell’effetto che avrebbe potuto: il processo di swansizzazione dei “Family” è tangibile, pur rimanendo talvolta in controluce, talvolta in primissimo piano, la cifra dei tre che ben conosciamo (“Until the Morning” è il solito gran pezzo classico alla A/F). Basta però ascoltare “No-Room” per rendersi conto di una ricerca di solidità , di graniticità  di chiara marca “The Seer”. I consueti nervosi giri di sei corde in apertura son lì, ma sotto di loro e intorno a loro il drumming, l’atmosfera iniziatica, la spazialità  cavernosa grondano sudore del veggente con gli stivali da sceriffo. L’andamento ubriaco della successiva “Way Up” e quello dopato di “Sand Talk” sono il risultato di stanchi flussi di coscienza o euforici proclami Animal Collective e poderose spallate chitarristiche ancora Swans. Dei quali Swans non è stato buttato via nulla, nemmeno la nenia orrorifica di una “93 Ave. B Blues” riproposta seppur con qualche lenitivo melodico in “Sometimes I”.

Ciò che perplime in un disco, val bene dirlo, tutt’altro che trascurabile, è che il numero di ascolti mostra la corda di un’epicità  non sempre sostenibile e a volte un po’ forzata, e che trova nell’accoppiata finale “When I Was Young”-“Samurai” una depressurizzazione protratta forse un tantino più del dovuto. A metà  del guado fra una riproposizione delle già  note ottime capacità  del terzetto di base un po’ a Portland, un po’ a Tucson, un po’ a New York e un tentativo di solennizzazione metallica, Sub Verses si pone come un album assolutamente valido, eppure incapace di farsi largo con prepotenza nel marasma contemporaneo. Il tipico album di passaggio (che poi passaggio vero e proprio non è: qui di carne cotta ce n’è) prima di qualcosa, ci auguriamo, di monumentale e duraturo. Serve giusto qualche morso più incisivo dei canini di Gira.