Venerdì mattina ho dato il mio ultimo esame negli Stati Uniti, venerdì sera sono andato al concerto di John Mayer a Richmond, e sabato sono tornato in Italia: non potevo scegliere modo migliore per concludere la mia avventura americana.

Inaugurano il Coliseum Philip Phillips la sua band: il pubblico sembra reagire positivamente al sound del giovane e a quanto pare in molti (tra cui il sottoscritto) conoscono anche alcune delle sue canzoni: un genere accattivante, a metà  tra i Mumford and Sons e, appunto, John Mayer. Cambio di palco e lo show inizia. Il riff inconfondibile di “Queen of California” svela tra gli applausi il “nuovo” John, quello degli ultimi due album per intenderci, quello un po’ country, quello un po’ diverso dal bluesman degli inizi: molti brani, infatti, sono tratti da “Born and Raised” e “Paradise Valley”. Primo momento occhi-e-orecchie-calamitati con “Whosays”, di cui cambia anche le parole per ingraziarsi il pubblico: It’sbeen a long night in New York City / It’sbeen a long night in RICHMOND too.

Grandi successi come “Slow dancing in a burning room” , “Your body is a wonderland” e “Waiting on the world to change” infiammano le ugole dei fan di una volta”… un pubblico parecchio variegato, sia in età  che sesso, il che non fa che confermare la bravura di questo artista. Ma a parte la presenza scenica, il fascino e la fiducia che l’uomo John Mayer riesce a trasmettere sul palco, bisogna riconoscere grande merito alla sua bravura tecnica: un chitarrista portentoso, che riesce a rendere ogni pezzo (anche quelli che in studio potrebbero risultare un po’ noiosi) un capolavoro. E non sto esagerando. Con la chitarra elettrica sembra che possa fare qualsiasi cosa: velocità , tapping, volume, un sound inconfondibile, persino quando suona con la chitarra dietro la schiena; davanti infatti ha la chitarra acustica, con la quale è capace di suonare contemporaneamente la base arpeggiata o gli accordi e l’assolo (immancabile, qualsiasi sia il pezzo: ed è ogni volta un tripudio). Una performance da standing ovation, che ha lasciato molte persone ammutolite, in silenzio, quasi commosse, perchè nessuno si aspettava di assistere a qualcosa del genere.

A metà  concerto suona le richieste del pubblico, improvvisando sequenze di accordi difficili come se niente fosse. E poi il gran finale con il bis: un classico natalizio come “Please come home for Christmas” e soprattutto “Gravity”, forse il suo pezzo migliore, il più amato, il più “suo”, il pezzo che ha fatto la storia e che la farà  per molti anni ancora.

Setlist
QUEEN OF CALIFORNIA
PAPERDOLL
I DON’T TRUST MYSELF (WITH LOVING YOU)
WHOSAYS
WAITING ON THE DAY
SPEAK FOR ME
WHY GEORGIA
SLOW DANCING IN A BURNING ROOM
ST PATRICK’S DAY
3×5
YOUR BODY IS WONDERLAND
I WILL BE FOUND (LOST SEA)
WILDFIRE
VULTURES
IF I EVER GET AROUND TO LIVING
WAITING ON THE WORLD TO CHANGE
DEAR MARIE
PLEASE COME HOME FOR CHRISTMAS
GRAVITY

Photo: slgckgc / CC BY